> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="200" width="600" alt="“Ciao ciao bambina”: Sara Colaone racconta una pagina importante dell’emigrazione italiana >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-29320" />
“Ciao ciao bambina” rappresenta il tuo esordio da autrice completa. Per questa occasione hai scelto di raccontare una storia di emigranti costruita sul filo della memoria. Cosa ti ha spinto ad indagare il 1959 e la vita degli italiani all’estero? Quanto ti sono vicine, e in che modo, le vicende da te narrate? Hai rappresentato il 1959 attraverso manifesti, abiti e pettinature. Alcune sequenze mi hanno ricordato i fotoromanzi e film dell’epoca. Che studi preparatori hai affrontato? Il tuo racconto è inframezzato da tavole bianche che incorniciano fotografie d’epoca. Come hai selezionato questi inserti che fungono da bussola alla narrazione? Valeria che si specchia nella superficie di un pavimento bagnato e Valeria che si specchia nella vetrina di un locale, fissano i due estremi del percorso di crescita della tua protagonista. In queste vignette sei riuscita ad aggiungere spessore ad un personaggio che dimostra di prendere coscienza di sé e della sua parabola di vita. Il ritorno di Valeria in Italia segna una sconfitta o un “male” necessario? Alla luce del tuo lavoro, quali analogie hai riscontrato tra le vicende da te narrate e i fenomeni migratori che interessano oggi il nostro paese? Qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti? Riferimenti: Originariamente pubblicato su www.bilbolbul.net/blog/?p=2082
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Il libro è ispirato alla vera storia dei miei genitori, giovanissimi emigranti friulani, conosciutisi in una balera nella Svizzera tedesca fra il 1957 e il 1960. E’ una storia che ho sentito raccontare e raccontare fin da piccola, tanto da diventare quasi una parte di me. Avevo iniziato a raccogliere i ricordi di famiglia già nel 2001, per farne un racconto da mettere in una collezione, poi gli episodi interessanti e significativi per dipingere quello scenario erano così tanti, che il progetto ha assunto un valore più autonomo, fino a diventare un libro di 130 pagine. Ho scelto infine l’anno chiave fra il 1959 e il 1960 perché è il passaggio fra due epoche importantissime nella società italiana, che da bacchettona e repressa diviene più libera e apparentemente disinvolta.
In “In Italia sono tutti maschi” (testi di Luca De Santis) hai già affrontato temi storico-sociali che hanno forte valenza anche nella società contemporanea. Come è cambiato il tuo linguaggio grafico nella realizzazione di “Ciao ciao bambina”?
Per ogni libro cerco un linguaggio che esprima al meglio il clima della storia e la forza dei personaggi. Qui ho cercato un segno più morbido, che mi aiutasse a capire i personaggi femminili, con la loro ingenua bellezza, i loro gusti popolari, la loro incertezza fra passato e futuro. Ho fatto molti bozzetti sui dettagli delle donne, capelli, mani, accessori, ma soprattutto gambe e scarpe col tacco.
Valeria è appunto mia madre, una donna forte che nella vita ha lottato per avere ogni singola cosa, ma senza indurirsi, semplicemente vivendo. Volevo che il personaggio di Valeria esprimesse una tensione via via più evidente al miglioramento di sé, alla crescita fuori dagli oppressivi modelli convenuti e dai condizionamenti ideologici (è una specie di femminista antelitteram). E’ un elemento che rende il personaggio speciale anche oggi, visti i modelli femminili più popolari in circolazione.
L’Italia, nel progredire del racconto, è rappresentata come un ricordo che sbiadisce lentamente dalla memoria degli emigranti. La musica rappresenta un elemento fondamentale per rinsaldare questo legame, attraverso canzoni italiane dell’epoca ascoltate dai protagonisti. Come hai operato le tue scelte musicali per cogliere lo spirito di quei tempi?
Mi sono semplicemente fatta raccontare quali erano le canzoni più amate. Alcune (come Malaguena di Caterina Valente) esercitavano un fascino esotico talmente forte sull’immaginazione dei giovani da fargli ricordare le parole a cinquant’anni di distanza. Poi ho ascoltato molta musica, ho cercato di lasciarmi andare al gusto melò, di grattare troppo sotto la superficie patetico sentimentale di quelle canzoni e ho capito cosa cercavano in esse i giovani: una sorta di manuale di educazione sentimentale, quell’educazione che spesso gli era negata nella gretta vita di tutti i giorni.
Hai scelto un verso “Piove” di Domenico Modugno come titolo del volume. In che modo questa canzone può riassumere o definire la tua opera?
L’attacco di questa canzone mi è sempre piaciuto moltissimo, tutti quei violini, forse troppi, e la voce di Modugno, che scandisce quasi ironico il suo “ciao ciao bambina”! Mi piace che chiami la sua innamorata “bambina”. Ma anche il testo è una chiave di lettura per il libro quando dice “vorrei trovare parole nuove, ma piove piove sul nostro amor”, qui ho visto il modo di amare dei protagonisti, così banale eppure così vero, da essere in tutte le canzoni dappertutto nel mondo, sempre attuale.
I fotoromanzi certo, ma soprattutto le foto di famiglia e il cinema: film come Le amiche, di Antonioni e La ragazza con la valigia, di Zurlini, sono stati una grande fonte di ispirazione. A proposito, i manifesti che ci sono nel libro sono rielaborazioni di manifesti veri.
Con le foto ho cercato di creare un secondo binario narrativo, in cui un dialogo ideale fra me e mia madre vuole riflettere sul senso di quei fatti ormai lontani e sul modo in cui la memoria li ha poi ricollocati. E poi quelle foto mi hanno sempre affascinata, sono foto di piccolo formato ma di alta qualità, pensate per esser un ricordo, per segnare tappe nella vita delle persone, per ricostruire i pezzi di vite dimenticate.
Ho colorato i disegni in digitale, seguendo due criteri cromatici diversi: abbastanza realistico ma con toni pastello per le scene diurne e quasi monocromatici per le scene di ballo notturne, dove ogni scena ha un colore dominante diverso a seconda della progressione narrativa e dell’evoluzione della storia.
Il ritorno è un male necessario, ma Valeria non ha perso nulla in quest’anno, anzi, ha scoperto se stessa. Nel libro c’è un’altra coincidenza di immagini: la scena dell’arrivo alla stazione di San Gallo e quella della partenza da Rorschach sono praticamente uguali, ma è Valeria a essere completamente cambiata, quando arriva è una goffa ragazzotta di campagna, quando riparte è una signorina sicura del fatto suo.
Un fatto che ha inciso nella decisione di fare questo libro è proprio la similitudine in alcuni aspetti di questi fenomeni migratori. Qualche tempo fa ho sentito da miei compaesani commenti stizziti sul fatto che gli immigrati in Italia si potessero permettere automobili e cellulari, cioè si adeguassero allo stile di vita degli italiani. Questo mi è parso molto interessante, perché mimetizzarsi nel paese ospite e adeguarsi ai consumi mi sembrano spinte del tutto naturali e logiche per chi fugge da condizioni originarie di povertà. E guarda caso è quello che fa anche la protagonista del romanzo: studia il tedesco, si compra qualcosa per sé, in fin dei conti è pur sempre una ragazza.
L’Italia è un paese che ha accolto gente dal Mediterraneo, dal Nord Europa, dal Medio Oriente, ma per metabolizzare questi passaggi ci vuole tempo e cultura. Quando una popolazione come quella del nord est italiano passa nel giro di una generazione dall’estrema povertà a una ricchezza notevole, non riesce più a guardare al proprio recente passato senza provare un senso di vergogna. Così questo sguardo si posa con egual stizza sugli immigrati di oggi, che tanto ci ricordano come eravamo noi appena cinquant’anni fa.
I progetti a cui sto lavorando sono molti. Fra questi, un nuovo romanzo a fumetti con Francesco Satta, con cui ho esordito nel 1998 e uno per bambini con l’autrice Luana Vergari.
Kappa Edizioni: www.kappaedizioni.it
Sara Colaone, blog: saracolaone.blogspot.com
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