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Ciao Generale

Creato il 03 maggio 2013 da Marcopress @gabbianone

TARVISIO – È morto martedì sera all’ospedale di Gemona, dopo breve ricovero, il generale degli alpini in pensione e storico della Valcanale Bruno La Bruna. Aveva 82 anni. (dal Messaggero Veneto, articolo completo)

Se mi è passato più veloce del previsto l’inutilissimo anno da militare, sesto scaglione 1990, congedo 1 agosto 1991, lo devo a lui, il Generale. Era appena andato in pensione ma la sua vita non si staccava da lì, caserma Di Prampero, Comando di Brigata a Udine, cucuzzolo di piazza Primo Maggio.
Si inventò, un minuto dopo il congedo (il suo), l’idea del museo della Julia. Cominciava da zero, gli serviva una recluta. Eccola, è appena arrivata.
Qualcuno mi spaventò: attento, è una bestia, sarà una vita d’inferno. Invece non alzò mai la voce, non con me. Miracolosa sintonia.
All’inizio non c’era nulla in quella stanza che in un anno avremmo riempito di tutto, sotto i portici della Brigata, pochi metri dall’alzabandiera. Mi attendeva ogni mattina con impazienza. Si parlava solo di cose da fare, non di altro. Ma imparai subito che era del Msi e della Giuve. Da pannelliano non apprezzai la prima appartenenza, la seconda me lo rese fratello (erano anni di sventure, c’era il Milan di Sacchi).
Di pomeriggio, invece, lo aspettavo io. Dovevo salutarlo, sull’attenti, prima di staccare. Lui era allo spaccio. Arrivava con il classico fischio, stuzzicadenti in bocca. Aveva assaggiato qualche bicchiere. Rosso.
Il lavoro (faccina che ride) era divertente. Scrivere testi che lui dettava a braccio sulla storia degli alpini. Andare dal corniciaio (viale Ungheria, Natalino e Agnese) e trasformarli in quadri. Ordinare targhette. Restituire gavette all’originaria lucentezza. Organizzare bacheche. Catalogare fotografie.
A metà anno arrivarono i manichini. Li vestii con le divise d’epoca che aveva fatto arrivare da non so dove. Mi avessero filmato, avrei avuto un futuro all’Upim.
Un altro episodio memorabile fu quando un artigiano realizzò una lapide con i nomi dei caduti di non ricordo che battaglia. La aspettavamo da settimane ma quando arrivò sembrava il superenalotto: numeri a caso, non c’era una sola data corretta. Il Generale afferrò la lapide e la gettò a mo’ di giavellotto. Era pesantissima, fece danni.
Quando uscivo direzione corniciaio, mi imboscavo. Ore in giro per la città. A ogni tappa, un bar. Un alpino “addetto al museo” che attendeva quadri e targhette: dopo qualche mese qualcunò iniziò perfino a crederci. Più complicato convincere il popolo che a un manichino si era staccata una gamba. Accadde davvero, ma rimediai prima che il Generale se ne accorgesse: non l’avrebbe presa bene.



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