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Ciao papà.

Da Acomealice @Acomealice

Ciao papà.

Sono passati 5 anni dal giorno in cui, in punta di piedi te ne sei andato. E come al solito ci hai sorpreso tutti, com’era nel tuo stile, con un ictus. Tu, l’ Angelo nero, come un soffio leggero e altrettanto pesante nella mia vita. Non sei stato un buon padre, forse non te ne ho dato l’occasione, ci siamo visti ogni tanto e la vita è passata in un attimo senza nemmeno chiedere scusa. A volte le persone le dipingono in un modo, i pregiudizi e la falsità che regna nel mondo fanno sì che tutti debbano portare lo stesso abito ma ognuno è fatto a modo suo e vive la sua vita come gli pare. Crescendo ho scoperto che sotto l’armatura che le riveste le persone possono essere molto diverse…a volte nascoste da talmente tanti strati di rabbia che nemmeno lo vedi tutto il bello che c’è, tutto l’amore che c’è. Eppure è lì solo che porta un’altro vestito.

Non sono stata affatto una buona figlia, non me ne hai dato l’occasione. Tu e la mamma così diversi, così divisi da un mondo di pregiudizi inutili e da presenze invadenti che vi hanno riempito la testa di limiti. Chissà come sarebbe stato senza questo fardello, chissà se sareste rimasti insieme. E intanto avete riempinto la mia infanzia della rabbia che vi portavate dentro e vi sputavate in faccia ogni giorno, fino a quando, Dio sia lodato, avete deciso di prendere ognuno la propria strada. Lì ti ho perso definitivamente, seguendo la mamma e forse, solo adesso mi rendo conto, avrei dovuto darti una seconda occasione e non l’ho fatto. Oggi è la Festa Nazionale dei Nonni ed io voglio ricordarti così com’eri, senza falsità, nella semplicità di come i miei occhi ti hanno sempre visto e mentre il mio cuore ancora piange, voglio pensare al nonno che saresti potuto essere per Leonardo e Beatrice.

Voglio ricordare così. Papà

Rammento di te gli abiti che portavi da sempre, da quando la mia memoria di bambina riesce a trattenere il ricordo, uno nero a righe bianche e cravatta uguale sopra alla camicia con i bottoni tutti chiusi e la divisa da maresciallo per le grandi occasioni. Peccato che non fossi un maresciallo, ne un finanziere e neanche un paracadutista come raccontavi sempre a tutti noi.

Le tue mille personalità, i tuoi tanti nomi : Sergio per la donna che hai amato, Angelo per una figlia che forse non volevi perchè ne avevi già tre da un’altra donna ed eri troppo vecchio per averne ancora, Guido, per tutti, quando conducevi il taxi e tanti altri nomi che forse non ho fatto in tempo a conoscere.

I capelli neri, tinti, come i baffi che in quegli anni potevi vedere solo addosso ad un boss palermitano. I gesti spropositati, la sigaretta sempre appoggiata all’orecchio destro e la matita nell’altro. Disegnavi sempre, ovunque : uomini, donne, animali sgraziati con occhi e bocche enormi, li trovavo anche in bagno, dipinti sulla tavoletta, erano i tuoi compagni di viaggio. I cavallini storti di una giostra di solitudine che ti eri costruito da solo. “ Sto restaurando una statua che ho trovato, allora tu tieni la testa e io la incollo con l’attack “ Gli obbedivo come fossi ancora una bambina.

L’ironia rendeva buffo tutto ciò che faceva, anche le mattine in cui fingendosi carabiniere e vestito con la divisa di ordinanza presa da qualche parte, si appostava sulla strada e fermava le macchine con la paletta. Mancavi di buon senso. Come un artista incompreso. E forse lo eri.

Le tue favole erano le barzellette, quella della vecchietta dal macellaio raccontata rigorosamente in dialetto milanese che avevo imparato a 7 anni generando l’imbarazzo generale perché era sconcia, i dettagli sulla tua infanzia nel dopoguerra con una madre difficile, sempre disordinati e confusi ma geniali.

Quel cappotto pesante lungo fino alle caviglie con gli anfibi di pelle che portavi anche d’estate, lucidati meticolosamente ogni sera e allacciati fino alle ginocchia. Il cappello con la tesa larga nero come il tuo umore quando eri ubriaco. Un sigaro al giorno e una bottiglia di vino sempre vuota sul tavolo.

La tua esistenza senza regole il tuo viaggiare nel mondo senza meta, la tua vita accanto a due donne così diverse tra loro, così diverse da te, amate prima e sopportate poi, il tuo preoccuparsi sempre troppo per il cibo che doveva esserci sempre e comunque almeno per me.

Mi ricordo dei tuoi saluti, e il vuoto che mi lasciavano dentro quanto ritornavi a casa tua a bordo del fidato skooter rosso fiammante senza assicurazione e con la targa di cartone, solo un cenno con la testa e lo sguardo altrove, come se fossimo già lontani o mai stati vicini, come se dovessi partire da un momento all’altro e tornare a Milano senza fare più ritorno.

E poi quella foto che tenevi nel portafoglio. Lì eri giovane, preso di fronte con il piccolo naso dritto e la divisa da carabiniere colorata da una luce innaturale, sembravi finto e lo eri, in un fotomontaggio di mani esperte sotto la scritta “ Paracadutisti Legione Tuscania “. Lo sguardo sempre distante. “ Me l’hanno scattata quando ero un militare” mentivi. “

Continua il tuo viaggio, ora, in un Cielo che adesso è sereno, guida da lassù i tuoi nipotini che non ti conoscono ma hanno sempre sentito parlare di te…Adesso è il mio momento, devo vivere la mia vita fino all’ultimo giorno ma ci rivedremo, ne sono sicura e finalmente staremo insieme.

Ti voglio bene papà, se puoi sentirmi adesso lo sai.


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