Non c’è mai un buon punto dal quale partire in un giorno così, se non forse dicendo che è stata la Pasqua migliore della mia vita, quella meglio celebrata, quella spesa a rendere omaggio ad un uomo grande più del mondo che riesco ad immaginare.
Il coraggio di dichiarare diserzione all’inviolabile pranzo di famiglia, e Bulciago mi ha accolto con un sole oltraggioso e aiuole esplosive, invocando resurrezione e rinascita.
Vittorio è arrivato nel mio cuore al posto di Cristo, e quando la sua bara è entrata per il funerale non ho più trattenuto né lacrime né dolore. Un funerale strano quello di Vittorio, un funerale che ha magicamente raccolto cattolici, atei e mussulmani nella stessa liturgia, sugli stessi canti: ma il suo spirito non si lasciava sentire, o probabilmente ero io a non sentirlo da nessuna parte. Fino a quando l’Arcivescovo di Gerusalemme non ha cominciato a parlare: allora tutto ha avuto un senso.
Le signore alle mie spalle, che stendevano la lista dei presenti (la panettiera di Bulciago, il sindaco del comune di Vattelapesca, la professoressa del liceo, il parroco e la badessa) hanno taciuto di fronte alla parola “eroe”, e alla parola “martire”. E se la sono data a gambe quando, coi preti ancora dentro, qualcuno dagli spalti ha intonato “Bella Ciao”, a eucarestia ancora fresca. La risposta non si è fatta attendere, e il coro è stato unanime mentre le bandiere palestinesi si sono spiegate, rompendo ogni divieto.
Quando davanti al microfono sono sfilati i suoi compagni di Gaza, i ragazzi che condividevano da qualche anno con lui la lotta per i diritti umani attraverso l’International Solidarity Movement, e poi ancora le ragazze delle associazioni a difesa della causa palestinese, le stesse che saliranno forse sulla prossima Freedon Flottilla, si è respirata un’aria grande, un’aria enorme. Quella piena della consapevolezza di trovarsi di fronte a persone speciali, che c’insegnano quanto siamo piccoli, e miseri, e vigliacchi.
E con noi, quanto lo sono le nostre istituzioni nazionali, registrate clamorosamente assenti di fronte ad un esempio così luminoso di grandezza italiana. Noncuranza, incapacità, vigliaccheria o chissà cosa.
La Palestina è una spina diplomatica nel fianco del mondo intero, una vergogna umanitaria e un’ignominia storica, civile e politica. Vittorio Arrigoni, Rachel Corrie, e tutte le altre persone che hanno sacrificato la propria vita lottando per quella degli altri, non possono – da soli – riscattare il silenzio del mondo intero.
Ma a noi piccoli, piccolissimi, noi che non sappiamo far germogliare l’esempio e partire a nostra volta, rimane la certezza di dover almeno celebrare questi ragazzi che riscattano la razza umana, che lottano per un’ideale a mani nude, maniche rimboccate, cuore traboccante e vita in spalla.
“Sarebbe interessante analizzare in quale misura i sistemi di comunicazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e in quale misura al servizio del silenzio”
(Ryszard Kapuscinski)
“Il sistema palestinese per fare conoscenza: offrire un frutto alla persona incontrata. La frutta è la maggiore – in realtà l’unica – ricchezza della Palestina, e offrirla a qualcuno equivale a dargli tutto quello che si possiede”
(Ryszard Kapuscinski)