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Salone del libro di Torino, palle e diserzione

Creato il 14 maggio 2013 da Elenatorresani

dog reading

Sono stata al Salone del Libro di Torino una volta sola, con una valigia vuota in mano.
Ero convinta di trovare offerte, promozioni e titoli speciali, come sempre accade in queste occasioni (Festival della Letteratura di Mantova incluso, ad esempio).
Dopo due ore sono uscita con la valigia ancora vuota e le palle girate: nessuno sconto, nessuna promozione, nulla di imperdibile.
A parità di prezzo, i libri li vado a comprare dal mio libraio di fiducia, che è pure esente da consigli marchettari.
Poi, dopo aver visto con i miei veri occhi verissimi un’intervista a Emanuele Filiberto di Savoia (true story) che parlava circondato da libri, io, la mia valigia vuota e le mie palle girate siamo andati da Eataly, e abbiamo risolto lo sconforto culturale con le prelibatezze del gusto.

festival torino

Oggi leggo questo articolo di Serino, e per quanto non sia d’accordo su tutto quello che dice (credo che tutti i tipi di lettori e di pubblico vadano soddisfatti), sono d’accordo con l’allarme che lancia, perché riguarda un po’ la deriva a cui molte cose del nostro paese si stanno avvicinando.
La soluzione che Serino propone (disertare il Festival) mi fa comunque paura e non mi convince, perché per come siamo culturalmente a pezzi in Italia (scuola, investimenti pubblici e privati, formazione, ricerca, editoria, spettacolo, arte, beni culturali) un Festival culturale che funziona (e che quindi muove la gente, riempie la città, alimenta l’indotto) pare quasi un miracolo.

salone torino 1

Poi però ragiono sul fatto che perpetrare modelli che non migliorano lo stato delle cose (nè dal punto di vista quantitativo né da quello qualitativo) e non cambiano le prospettive, forse ha davvero poco senso.
Vero è che se il nostro panorama culturale è così desolato, i lettori così poco numerosi e l’editoria così malfunzionante, non è disertando il Salone che si manda un segnale che può cambiare le cose. Il problema dei lettori italiani inizia in Parlamento, nelle scuole, e nelle famiglie, in TV: ha radici ben più lontane, e non nasce certo a Torino. Colpire i piedi sperando che la testa faccia un ragionamento sensato in proposito è una soluzione?
Non lo so, forse prima cercherei di capire di più.
Un programma editoriale pieno di TV (e il livello della nostra TV lo conosciamo bene) si compie perchè quello è il modo per muovere la gente, per quel poco che ne è capace: e finchè non andiamo ad agire alla radice del problema, cioè al cibo malsano che ha prodotto la merda in cui oggi stiamo affogando, allora disertare Torino servirà a poco. Capisco che cercare di aggiustare un piede rotto sia più facile che aggiustare un cervello rotto, ma se gli interventi non saranno organici e strategici (ben oltre e ben al di là di Torino), allora ogni diserzione avrà poco senso.

Da qualche parte bisogna pur cominciare, lo capisco. Ma Amarezza is the new black.


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