Buongiorno!Sì, vabbè, basta con questa allegria che non ci credo neanche io. Ho finito di guardare Sense8 – serie tv Netflix – che ho divorato in circa 24 ore e mi sento come un vuoto dentro. Bello Netflix, molto bello, però per colpa sua ho visto una miriade di altre serie che avrei fatto bene a non cominciare. Per fortuna vivo in un posto con un clima decente, fossi stata in Islanda sarei morta dentro casa, spaccandomi di serie tv e mangiando solo cibo spazzatura.Dunque, ho diversi libri di cui parlare ma recensirli tutti era pressappoco inutile perché sono tanti e perché nessuno mi è piaciuto davvero per cui... Direi anche per fortuna, che qua sennò cominciavo a preoccuparmi, dovevo chiudere il 2015 con la maggioranza dei pochi libri letti che non mi era piaciuta, sennò non andava mica bene. Ne ho scelti tre, gli altri magari li nominerò in In my bookshelf, giusto per rendervi partecipe di ciò che ho letto nel periodo in cui non sono stata molto presente.Andiamo con ordine e per fortuna che ci sta Anobii ad aiutarmi, sennò il rincoglionimento la faceva da padrone e stavamo qui a parlare delle tecniche di coltivazione del timo e degli involtini di pollo e porcini (che comunque vengono bene anche con il tacchino, giusto per dire).
Allora, ho letto Un segno invisibile e mio di Aimee Bender, soprannominata da me Aimeeh Bender, considerando che il suo romanzo è stato proprio un meh. Sia chiaro, non è affatto brutto, né mi è pesato leggerlo, anzi. Considerando che ci ho messo un tardo pomeriggio e una sera per terminarlo (si tratta di circa 300 pagine, forse qualcosa in meno), interrompendo la lettura solo per mangiare, significa che qualcosa deve avermela comunicata, altrimenti me lo sarei portato dietro per mesi.È la storia di Mona, una ventenne con la passione per i numeri e la matematica che diventa insegnante della scuola elementare della sua città. Sarebbe tutto normale se non fosse che Mona, ogni tanto, si comporta in modo un po', come dire, strano e compie delle azioni che, mentre leggevo, mi hanno fatto seriamente pensare: WTF? (SPOILER: tipo mangiare il sapone – senza motivo apparente – fino a vomitare. Ragazzi, dico, seriously? Cioè, capisco l'autolesionismo – no, attenzione, non è che lo giustifico né penso sia normale ma purtroppo è una realtà che riguarda più persone di quanto crediamo – ma qui non viene approfondito, rimane tutto un po' come un comportamento fuori dagli schemi per boh, motivi generici). Insomma, più volte mi sono ritrovata a dire al libro "Seriously Aimeeh, seriously?" con quella faccia lì che vedete in diapositiva. Ho meno sopracciglia però io eh.Ciò non toglie che alcune immagini che la Bender regala al lettore siano molto belle e toccanti tanto che, alcune volte, mi sono anche commossa (e commossa davvero, con la lacrimuccia!). Certamente alcune parti mi hanno portata a riflettere sulla natura delle relazioni umane, sulla qualità della vita che viviamo e se, in effetti, in questa vita ci sono mai dei momenti che meritano un numero superiore al 50. Su una scala che va da 0 a 100, quante volte ci siamo sentiti 99? Dei momenti che ricordo, in pochi ho superato il 50, in rarissimi casi ci aggiriamo attorno al 70. Interessante, anche, l'ingenua – che poi, sarà ingenua? – cattiveria dei bambini che più piccoli sono, più egoisti e crudeli sono. Per fortuna, poi, fanno i conti con gli altri esseri umani e imparano l'altruismo e la gentilezza – pure che spesso non è sentita ma solo di facciata. È un libro che si lascia leggere, anzi la definirei anche una piacevole lettura, ma non l'ho trovato il capolavoro di cui tutti parlano. Forse, mi sorge il dubbio, ormai sono un po' io che non apprezzo più quello che leggo. Dopo un anno di libri meh o brutti sono così satura che qualunque cosa legga mi lascia indifferente o mi indispettisce. Chi lo sa?
La vita accanto di Mariapia Veladiano. Io dico che boh. C'è questa bimba bruttissima, ma così brutta che aiutateme a dì brutta, che non riceve affetto dalla madre e manco dal padre. Avrà un'unica amica e per fortuna suonerà il pianoforte sennò questo libro lo avevamo terminato di scrivere alla quarta riga. Boh. Resto proprio boh alle volte e non so proprio che dire. Solo boh.Vincitore del Premio Calvino 2011 e addirittura finalista al premio Strega 2011. Perché?, ti viene da chiederti dopo averlo letto. E la risposta è sempre boh.Sono le esperienze come questa (e quella con Malvaldi) che non mi fanno venire la curiosità di leggere molti autori italiani (a parte quelli che so già che mi piacciono, tipo Luca Tarenzi o gli autori Gorilla Sapiens) e che mi fanno sempre storcere il naso davanti a casi letterari senza eguali "il nuovo capolavoro di Margaret Mazzantini!". Te prego, no grazie.La vita accanto, almeno, è scritto molto bene e il personaggio di Lucilla è adorabile nel suo essere paurosamente donna già da bambina. Molte aspetti, troppi, restano solo accennati e non approfonditi. Mariapia Veladiano ci ha provato, ma non abbastanza. Forse, in fase di stesura, ci ha ripensato e piuttosto che farne uscire fuori un libro, si è fermata al racconto lungo (saranno boh, 170 pagine in tutto?). Poi ha deciso pure di lasciarlo incompleto.
Arriviamo adesso alla più grande delusione di sempre. Quanto ci so' rimasta male? Quanto? Troppo. Non me lo aspettavo, con quella copertina, quell'argomento, quel periodo storico. Eppure niente, non è stato amore, ma profondo odio.Mi riferisco a La melodia di Vienna di Ernst Lothar con votazioni su Anobii e Goodreads così alte che mi fa pensare che sia io ad avere qualche problema. Che non è da escludere, ovviamente.C'è da puntualizzare una cosa importantissima intanto: Dowton Abbey – che io adoro! – non c'entra assolutamente nulla. Ma niente, credetemi, NULLA proprio. È la storia, questa, della famiglia Alt che produce pianoforti e che vive al numero 10 di Seilerstätte, a Vienna. La loro storia parte dalla prima guerra mondiale e arriva al nazismo di Hitler. Il tutto con una bella dose di noia e freddezza nei personaggi che non vi dico. Ho fatto una fatica enorme a terminarlo, lo leggevo così come avrei letto un saggio sulla gastroenterologia: senza curiosità. Nessun interesse neanche per un "mistero" che succederà circa a metà libro, il disinteresse totale per la vita di più della metà dei personaggi. Il coprotagonista – perché, essendo una saga famigliare il protagonista della prima parte del romanzo è Franz – Hans è praticamente la reincarnazione di #mainagioia, come in realtà tutta la famiglia lo è. In effetti anche quel poveraccio di Franz è un po' #mainagioia, considerando la sua devozione per la sua sposa, Henriette, per la quale io ho provato un solo sentimento: profonda pena. Pena perché incapace di essere non dico esattamente una bella persona, ma almeno passabile. Pena perché una persona che ha paura delle proprie azioni e dei propri sentimenti e che, per codardia, si nasconde dietro un'altra persona non può che farmi pena. Ecco, diciamo che dopo le prime 50 pagine in cui ho provato pena per questa donna, ho poi completamente perso interesse. Nella lotta Lothar versus Noia ha vinto Noia con un KO sensazionale. Di questo libro, però, vi linko anche la recensione di qualcuno (qui) che invece l'ha trovato bello, magari so' io che – appunto – ormai non trovo piacevole nulla.
E adesso insultatemi pure, dato che ho distrutto 3 dei libri con le votazioni più alte sulla faccia della Terra, io intanto vado subito a cercare un altro libro da leggere e da non farmi piacere.