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Ciechi alla meta

Creato il 18 luglio 2011 da Albertocapece

Ciechi alla metaNelle settimane scorse mi sono infuriato contro la cecità dei partiti di opposizione, quelli comunque che sono o dovrebbero essere gli eredi della sinistra, nel considerare pura demagogia, il rifiuto via via più intenso e violento verso i privilegi della casta. E soprattutto l’atteggiamento scandalosamente neghittoso e ipocrita verso i veri costi della politica che si annidano negli enti inutili come le Province e la metafisica sovrabbondanza dei Comuni: è qui che nasce e vive un ceto politico minore che considera spesso la politica un impiego a tempo indeterminato. Ed è sempre qui che i partiti perdono la loro funzione di elaborazione di idee e progetti per diventare dei patronati, intesi unicamente alle clientele, tanto da diventarne poi schiavi.

Considerare tutto questo demagogia è dare credito all’orrido ” sono tutti uguali” da cui solo destra ha da guadagnare. Soprattutto perché in un Paese in declino e impoverito, è assurdo pretendere di conservare un’area così vasta di privilegio e di protezione.

Detto questo esiste anche un’altra cecità, una profonda cecità nei cittadini di questo Paese nel suo complesso. Le fiammate anticasta che ogni tanto incendiano l’opinione pubblica, talvolta spontanee, talvolta preparate con dei trucchetti giornalistici nei quali la gente ormai casca con tutti e due i piedi, ne sono una dimostrazione. Non tanto perché le istanze non siano in sé giuste, ma perché dietro si nasconde una preoccupante ristrettezza di orizzonti.

E’ fin troppo ovvio che la logica dentro la quale si situa la protervia della casta è la stessa dentro cui si impernia quella di Marchionne che vuole attraverso sempre nuovi ricatti opporsi alla Costituzione e all’ordine giudiziario, è la stessa che ispira Confindustria o la manovra iniqua di Tremonti, è la stessa che ispira i tagli della Gelmini o di Brunetta, la medesima che esige il precariato a vita voluto da un capitalismo border line o che si rifiuta di aggredire un’evasione fiscale che è sette volte maggiore rispetto a Francia e Germania si, che taglia massicciamente il welfare o fa pronuba delle notti del bunga bunga. Insomma l’arroganza dell’onorevole è solo un aspetto dell’assenza ormai ventennale di politica vera e di un Paese nei quali i potentati spadroneggiano, in cui la corruzione è diventata un modus vivendi.

Ed è francamente desolante che tutto questo che ci coinvolge e devasta la vita di milioni di persone, di intere generazioni, non susciti altrettanti e generalizzati malumori. E non trasformi la rabbia dei fuochi di paglia, in una determinazione di reale cambiamento.

Soprattutto è la dimostrazione dell’assenza di elaborazione, di speranze, di futuro, di coesione e sentire collettivo: tutti vuoti che vengono colmati da una rabbia sacrosanta, ma in sé inutile e anzi per certi versi funzionale al potere contro cui si scaglia. Una rabbia che guarda il dito e non la luna e che in definitiva non è altro che il risultato del modello culturale del berlusconismo: la devastazione del sentire sociale, l’incapacità di pensare in termini generali e complessivi, di guidare la ragione alla radice del male senza pretendere di cancellarne solo i sintomi più vistosi.

Ciò che si dovrebbe chiedere all’opposizione è di uscire dal silenzio, di presentare alternative reali e attraverso queste anche un nuovo modo di intendere la politica e i suoi strumenti, il rifiuto di privilegi  che sono lo specchio di anni scellerati. E’ questo ciò che si deve a una Paese illuso, disilluso e ancora incapace di recuperare i fili del proprio destino.


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