Salì i gradini lentamente, la mano sinistra poggiata sul muro screpolato. I suoi occhi cambiavano colore ogni volta che una nuvola passava davanti al sole. Le sue labbra gonfie e umide si chiudevano e riaprivano velocemente ad intervalli irregolari come per baciare un invisibile amante. Il respiro pesante, i tendini del collo tesi nel tentativo di inspirare più aria possibile. La gonna leggera di seta rossa le sfiorava appena le cosce.
Un rumore improvviso dal piano terra la fece rabbrividire di terrore. Il cuore le salì in gola. Iniziò a correre. Lasciò cadere le scarpe che teneva in mano. Corse veloce verso l’alto, verso una speranza di salvezza alla quale volle aggrapparsi con tutte le sue forze. Sentiva il freddo del marmo dei gradini sotto i piedi. Il viso in fiamme. Guardò in altoLe scale erano quasi finite, mancavano pochi gradini e sarebbe arrivata al tetto dell’edificio... e poi?
Dal basso sentì i passi veloci dell’uomo. Passi veloci si ma senza fretta, come di chi sa di avere la situazione in pugno. Salì l’ultima rampa, davanti a lei il grigiore di un tetto qualsiasi, di un edificio qualsiasi, in una città qualsiasi. Questo pensiero la ferì come una lama nel fianco. Era davvero quello il suo destino? Proprio lì? In un posto così squallido e insignificante? Perché?
Alzò gli occhi al cielo. Il cielo sì era bello, un azzurro che non aveva mai visto abbellito qua e la da piccole nuvole bianche come il latte ed un sole che pareva splendere solo per lei.
Abbasso di nuovo gli occhi... grigio.
I passi dell’uomo si facevano più vicini, aveva rallentato. Forse avrebbe cambiato idea... forse stava tornando indietro, magari distratto o attirato da qualcosa. Si appiattì contro il muro. Tese l’orecchio per ascoltare. Era fermo una o due rampe sotto di lei. Sentì squillare il suo telefono. lui rispose ancora ansimante. Aveva un accento straniero, forse francese o spagnolo. Non riusciva a distinguere le parole. Si sporse un attimo per guardare. Riuscì a vedere la testa e la parte alta del busto. Teneva il telefono con la mano destra poi senza smettere di parlare passò il telefono alla mano sinistra e questo movimento fece scostare la giacca quel tanto da lasciare intravedere la fondina nera di una pistola che portava la fianco. Alla viista del metallo grigio dell’arma il sangue defluì dal suo voltò, lo potè avvertire distintamente, provò un senso di mancamento e barcollò sull gambe. Si spostò di lato sempre restando appiattita lungo il muro. Passò davanti ad una finestra e per la prima volto da tanto tempo potè specchiarsi per un attimo. La gonna lacera e sporca sul fianco. La camicetta strappata che le aveva impedito la fuga, del sangue ormai parzialmente rappreso scendeva lungo il ginocchio destro.
L’uomo ricominciò a salire a passi lenti, ora sembrava circospetto.
Si guardò ancora attorno, non c’era alcuna via di fuga possibile. Doveva affrontare quell’uomo. guardò per terra e non credette ai suoi occhi. Quante volte aveva visto al cinema scene del genere e ne aveva criticato l’ovvietà. Ora invece era vero! Una lunga barra di metallo era lì proprio vicino ai suoi piedi scalzi. La afferrò, era pesante ma ce la faceva. Si avvicinò alla porta che conduceva alle scale e poggiò la schiena contro il muro, la barra in mano, le vene della fronte gonfie. Restò così per alcuni lunghissimi istanti in attesa del suo persecutore. ancora pochi gradini. La barra diventava più pesante, il sudore sulle mani non la aiutava a tenere salda la presa. Con la code dell’occhio vide la punta di una scarpa spuntare dalla porta. Sollevò in alto le braccia e colpì con tutta la forza che aveva.
Mancato! Non riusciva a crederci. Aveva sbagliato il colpo più importante della sua vita. Aveva un sola possibilità e l’aveva sciupata. La punta della barra colpì con forza il bordo della porta e restituì alle sue mani una scossa come una scarica elettrica che la obbliigò a mollare la presa. No... nei film le cose non andavano così...
Per la prima volta i due si guardarono negli occhi. Fu solo per un attimo. Senza pensarci iniziò a correre. Corse con tutte le sue forze. Sentì dietro di lei quell’uomo chiamarla a gran voce (come sapeva il suo nome???), accelerò ancora la sua corsa incurante degli ostacoli che le ferivano i piedi. L’uomo iniziò a correre per raggiungerla. Lei capì subito che era molto più veloce, capì che l’avrebbe raggiunta, capì che l’avrebbe rinchiusa ancora in quella stanza dove per settimane qualcuno, forse lui e i suoi compari, avevano preso il suo corpo, a turno, incuranti del suo dolore, del suo progressivo deterioramento fisico e soprattutto psicologico. Sentiva che l’avrebbe raggiunta e sentiva che l’incubo stava per ricominciare.
No! Non qui! Non adesso! Non su questo tetto grigio e squallido di questo edificio qualsiasi in questa città qualsiasi. Aveva raggiunto il parapetto e decise all’improvviso che quel cielo azzurro decorato di nuvole bianche era mille volte meglio di tutto il resto e saltò verso il sole.
Sentì ancora la voce dell’uomo ma questa volta comprese il significato delle sue parole: “Si fermi la prego... POLIZIA!!!!”.
L’uomo arrestò la sua corsa. Non ebbe il coraggio di guardare oltre il parapetto. Con le dita tremanti digitò tre cifre e parlò.
Magazine Racconti
Cielo azzurro, nuvole bianche e un sole che pareva splendere solo per lei...
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