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Cammini a passi lenti e risali piano piano la montée du souvenir, tra le case strette tra di loro che sembrano stringere sempre più anche la salita, legate agli angoli da piccoli archetti antichi, lasciandoti a tratti intravedere scorci di scale, di piccole discese verso il mare ancor più piccine, tra vasi, oleandri, gatti che ti guardano curiosi come a dirti perché sali. Quando arrivi alla cima, qualche scalino ancora per montare un ultimo muro, un contrafforte severo ed ecco che esci dalla visuale dei tetti arancio che si alternano a piani incrociati gli uni con gli altri e sei sulla cima del promontorio dove più in alto non si può più salire e da un piccolo cancello entri in una serie di terrazze che dominano tutto il paese dall’alto, lo stanno a guardare senza stancarsi, diresti come coloro che, innamorati, non sanno staccarsi neppure per un momento dall’oggetto del loro amore, motore immobile di sentimento. E’ il cimitière du Vieux-Chateau. Passi da una terrazza all’altra circondato da vecchie lastre di marmo sbiadite, sbrecciate, ricoperte di licheni antichi e leggi i nomi che a malapena ancora si intravedono.
Qui risplende la gloria di tutta la belle epoque, quando Mentone era la meta agognata dalla nobiltà russa ed inglese, famosa per il suo clima ritenuto miracoloso per guarire la tubercolosi. E poi rimanevano qui nel piccolo cimitero a guardare per sempre questo mare di cui si erano innamorati. Fanciulle di venti anni, ecco Olga, Natasha, Irina, Hellen, Mary e le tombe dei principi, Trubetzkoy, Volkonsky, Urussof, gli zii di Roosvelt, Ellis il creatore del rugby ed una interminabile fila di uomini e donne che non hanno saputo resistere al fascino di questo luogo e sono rimasti qui a guardarlo per sempre da queste terrazze incantate, circondati dalla bellezza, dai profumi del Mediterraneo, così forti come vengono dai cespi di rosmarini e di erbe odorose, dai colori degli oleandri che risalgono la collina. E’ stata un’epoca straordinaria, la fine di quel secolo, così piena di eccessi, di bellezza, di idee, di arte e di cultura. E chi poteva la voleva avere negli occhi fino all’ultimo questa bellezza, illudendosi forse di poterla conservare anche dopo la morte. Quando scendi fino ad arrivare sul sagrato del Parvis S. Michel con i suoi minuti ciottoli bianchi e neri, con le chiese barocche che fanno da quinta e gli antichi palazzi a lato, devi fermarti per forza, prima della grande scalinata all’italiana che scende verso il mare, a guardare da questo palcoscenico l’azzurro davanti a te, mentre sale l’odore di salso e di mare.
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