Sembrava che potesse resistere a tutte le regole dell’economia, oltre che del buonsenso comune. Pareva capace di sfidare perfino la legge di gravità. E invece alla fine anche la bolla immobiliare cinese sta scoppiando. La notizia ha conquistato la prima pagina del New York Times. E’ forse un’esagerazione, un caso di “Schadenfreude” da parte degli americani, cioè di malcelato godimento per le disgrazie altrui? In realtà l’allarme viene da fonti governative di Pechino. In quanto agli Stati Uniti, anche se le loro relazioni con la Repubblica Popolare sono sempre complesse e in parte conflittuali (vedi il rinnovato appello di venerdì a rivalutare il renminbi la cui debolezza è condannata come “competizione sleale” da Washington), oggi prevale la preoccupazione di fronte a queste notizie. Perché la Cina dal 2008 in poi ha avuto una funzione positiva a livello globale: evitando di cadere in recessione, con la sua crescita ha parzialmente attutito lo shock della crisi originata negli Stati Uniti e poi amplificatasi nell’eurozona.l fatto che la Cina perda colpi non è passato inosservato sui mercati globali: un termometro fedele è dato dalle quotazioni delle materie prime, petrolio in testa, che si sono raffreddate da tempo. I prezzi mondiali del greggio hanno perso il 15% dall’inizio del mese. La Repubblica Popolare è il primo consumatore mondiale di materie prime e il secondo mercato per il petrolio e derivati. L’epicentro di questa crisi, proprio come fu per gli Stati Uniti nel 2008, è senza dubbio la bolla immobiliare. Gli indicatori ufficiali di Pechino dimostrano che le quotazioni delle case stanno cadendo in oltre la metà dei 70 capoluoghi dove vengono effettuate le rilevazioni. Le due principali agenzie di rating mondiali, Standard & Poor’s e Moody’s, hanno pubblicato in simultanea due rapporti allarmati, dove prevedono che i costruttori edili cinesi possono essere colpiti da penurie di liquidità e quindi una catena di fallimenti. Esattamente come accadde in America, anche in Cina il settore immobiliare è stato “drogato” dal credito facile. Con un paio di differenze. La prima è data dall’alta propensione al risparmio delle famiglie cinesi, più “solide” nella loro posizione finanziaria di quanto lo fossero i consumatori americani nel 2007. La seconda differenza deriva dal fatto che le banche cinesi sono ancora a larga maggioranza controllate dallo Stato o dalle provincie, e questa proprietà pubblica finora ha evitato una “resa dei conti”, prolungando il credito a settori in difficoltà. Ma sia pure in ritardo, ormai i nodi vengono al pettine. “I promotori immobiliari cinesi – si legge nel rapporto Standard & Poor’s – quest’anno affronteranno una prova di sopravvivenza”.
La Repubblica Popolare ha iniziato il 2012 con un tasso di crescita economica ancora vigoroso, un aumento del Pil dell’8,1%. Ma è un dato ingannevole perché deriva quasi interamente dalla velocità di crescita “ereditata” dall’anno precedente, e maschera un trend di rallentamento molto pronunciato. L’indice manifatturiero cinese segna il suo settimo mese consecutivo di caduta. Dall’Ocse alla Banca mondiale, tutte le istituzioni internazionali stanno producendo analisi allarmate per la brutalità di questa frenata. Tanto più che si inserisce in un contesto globale che sembra orientato nella stessa direzione. Dell’eurozona si sa, ma anche gli Stati Uniti hanno visto rallentare gli ordinativi di computer, macchinari, aerei e altri beni durevoli. Dal Brasile all’India al Sudafrica, la convergenza è generale, e non è rassicurante.tratto da repubblica.it del
(27 maggio 2012)