Genere distopico. Racconto biografico. Lunga analessi. Sviluppo del tema dello scontro di civiltà. Dissipazione economica. Lessico ricercato, tecnica di dialogo peculiare (una battuta di discorso diretto e una in perifrasi), ironici riferimenti ai film che spesso dettano il comportamento nella vita (riecco il Barocco).
Si può provare a incasellare i vari aspetti di un romanzo senza riuscire a dare minimamente l’idea di quella straordinaria somma di elementi, ben superiore al mero valore di ciascuno, che costituisce una storia narrata per iscritto, pagina dopo pagina.
Si può provare a raccontare la storia ridotta a fabula: uno degli ultimi romani rimasti a Roma dopo cambiamenti climatici che hanno eliminato l’inverno e reso il tempo un’unica, lunga, afosa estate deve sopravvivere allo stravolgimento culturale derivante dall’invasione cinese della capitale italiana, viene sottratto all’esclusione (autoimpostasi per indolenza e nausea della società) dal signor Wang, la cui frequentazione lo porta ad essere coinvolto in un «delitto efferato»: la prostituta Yin viene uccisa e l’avvocato fricchettone Trevi cerca di limitare, senza successo, i danni di una giustizia – anch’essa – cinese.
Si può allargare il campo del giudizio, tirando in ballo i significati traslati del racconto, il suo aspetto metaforico: la Roma antica, quella repubblicana e quella imperiale, accomunate come periodo di grandezza imperiale e crudeltà che avrebbe ispirato il nazismo, è messa a confronto con la Roma capitale a noi attuale e da poco passata nel tempo del racconto di Pincio; entrambe sono paragonate al tempo distopico del presente narrativo, un futuro da noi poco distante e possibile, uno degli scenari potenzialmente realizzabili a breve tempo. Si creano una serie di corrispondenze fra luoghi e atteggiamenti, e fra personaggi. L’avvocato Trevi farebbe arrossire Cicerone, padre dei legulei. Il protagonista è un novello Michelangelo, artista biscazziere impelagato in torbide vicende e incline al ritratto di donne di malaffare, con tragico finale.
L’aspetto strettamente narrativo: lungo il filo rosso dei riferimenti a film e telefilm americani, i ‘legal thriller’. Al punto che il protagonista – non se ne scopre mai il nome, ma vien spontaneo chiamarlo Tommaso – si accorge spesso di aspettarsi che le cose vadano come nella realtà, ben più familiare, raccontata dagli statunitensi: si aspetta che gli vengano letti i diritti all’atto dell’arresto, per esempio. Questo ha a che fare con l’ironia e con la constatazione dei nostri modelli culturali, ma assai più con questioni – oserei dire – di poetica: la realtà ci è ben più sconosciuta di altre narrazioni precedenti, che hanno colonizzato il nostro immaginario. Pincio lo sa bene e si tiene ben alla larga dal citazionismo inconsapevole di tanti narratori italiani, inclini a dare ai loro personaggi nomi improbabili (John e Jack, per dare respiro di internazionalità) e setting altrettanto assurdi alle loro storie di scrittori italiani (perché mai un napoletano dovrebbe ambientare il suo thriller con serial killer a New York – a maggior ragione se non vi ha mai messo piede?). Pincio dimostra quanto sia vero che non vi è nulla di più universale del particolare, e la storia di un ‘romano di Roma’ in via Veneto è quella dell’ultimo uomo sulla terra, è quella del genere umano in un’epoca di crisi, ed è la vostra e la mia. E se ancora questo non dovesse convincere (perché Cinacittà è più di stile, prosa, fabula e significati), diamine, leggete il libro.
Carlotta Susca