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Cineforum a Fidenza: "La chiave di Sara"

Creato il 10 aprile 2012 da Ambrogio Ponzi @lucecolore

La chiave di Sara
Giovedì 12 aprile alle ore 21
Cineforum al Cinema Cristallo a Fidenza
 


Dopo la pausa delle feste pasquali il cineforum riprende al cinema Cristallo giovedì 12 aprile alle ore 21 con la proiezione del film "La chiave di Sara" di Gilles Paquet-Brenner. Sara ha tre amici: Ruth, Anna e soprattutto Geremia, il ragazzo di cui è innamorata e che magari un giorno vorrebbe sposare. Ma l'occupazione della Francia da parte delle truppe del Terzo Reich pone fine ai suoi sogni. L'episodio storico cui si riferisce il film è il rastrellamento di Parigi nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1942 di 13.000 ebrei che verranno rinchiusi nel Velodrome d'Hiver per alcuni giorni prima di essere deportati nel lager nazisti. Solo in 25 si salveranno. Sara richiude il fratellino nell'armadio e gli promette che tornerà a prenderlo quando tutto sarà finito. La chiave del titolo è quella che una giornalista americana che, ospite ai giorni nostri nella capitale francese, deve aprire l'armadio delle verità nascoste per troppo tempo: come quella di chi, per viltà o paura, fece finta di non vedere e tacque.
Da "il Risveglio" settimanale della Diocesi di Fidenza

Recuperando un evento storico dimenticato, contagia la verità con le contraffazioni dell'entertainment Marzia Gandolfi              
Julia Jarmond è una giornalista americana, moglie di un architetto francese e madre di una figlia adolescente. Da vent'anni vive a Parigi e scrive articoli impegnati e saggi partecipi. Indagando su uno degli episodi più ignobili della storia francese, il rastrellamento di tredicimila ebrei, arrestati e poi concentrati dalla polizia francese nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942, 'incrocia' Sara e apprende la sua storia, quella di una bambina di pochi anni e ostinata resistenza che sopravviverà alla sua famiglia e agli orrori della guerra. Impressionata e coinvolta, Julia approfondirà la sua inchiesta scoprendo di essere coinvolta suo malgrado e da vicino nella tragedia di Sara. Con pazienza e determinazione ricostruirà l'odissea di una bambina, colmando i debiti morali, rifondendo il passato e provando a immaginare un futuro migliore.  La Shoah è un argomento pericoloso dal punto di vista artistico. Si tratta di una tragedia così traumatica e indicibile da renderla di fatto irrappresentabile. Eppure il cinema si è misurato infinite volte con questo soggetto storico tentando approcci 'esemplari' con Il pianista di Polanski o Schindler's List di Spielberg, sperimentando sguardi morbosi con Il Portiere di notte, osando quello favolistico e 'addolcente' con La vita è bella e Train de vie. Ci ha provato con la stessa urgenza e serietà il cinema documentario fallendo ugualmente l'intento di avvicinare la realtà della Shoah. A mancare troppe volte e nonostante le migliori intenzioni sembra essere una maggiore coscienza storica e morale. La chiave di Sara non fa eccezione, riducendo la dismisura dell'orrore a una semplice funzione narrativa, preoccupandosi di comunicare, piuttosto che capire, quanto accaduto. Trasposizione del romanzo di Tatiana de Rosnay, La chiave di Sara aderisce al dramma interiore della bambina del titolo raddoppiandone il senso di colpa ed esibendo un gusto per l'iperbole che lascia perplessi. Se il film di Gilles Paquet-Brenner ha l'indubbio merito di recuperare un evento storico dimenticato e di fare luce sul rastrellamento del Vélodrome d'Hiver, sui campi di smistamento e di concentramento, sulle delazioni e sulle responsabilità francesi, facendo tutti (poliziotti, funzionari e civili) compartecipi di un errore e di una mancata presa di coscienza, nella realizzazione pecca di didascalismo e ridondanza. Inopportuni i rilanci narrativi (nel film è Sara a chiudere il fratellino nell'armadio) per rendere la vicenda ancora più emozionante. Al di là della buona volontà e dell'obiettivo storico-didattico l'impressione è che il regista abbia sfruttato le componenti più tragiche della vicenda dissimulandole dietro lo sguardo gentile di Kristin Scott Thomas e quello ruvido di Niels Arestrup, che provano con le loro misurate interpretazioni ad arginare un diffuso bozzettismo emozionale. Una tale semplificazione conduce a una banalizzazione del male, la cui sola prerogativa è quella di mettere in risalto la superiorità del bene.  La chiave di Sara, sospeso tra un passato mai esaurito e una contemporaneità in divenire, rimette innegabilmente in discussione un deplorevole momento della vicenda nazionale, ma con altrettanta evidenza si stacca dalla verità dei documenti, contagiandola con le 'contraffazioni' dell'entertainment e il sentimento popolare, troppo incline agli amarcord e poco alla Memoria.

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