Prossimo film Giovedì 1 dicembre 2011 ore 21 Carnage
Jodie Fosterinterpreta Penelope Longstreet nel film di Roman Polanski Carnage
“Carnage” di Roman Polansky ha una doppia natura. Una superficiale e l’altra assai più complessa. Partiamo dall’impressione immediata che se ne ricava durante la visione. È un film perfetto, di rara difficoltà stilistica, poiché girato integralmente in un appartamento. Ecco l’inizio della storia, mostrata da lontano, priva di parole. Vediamo un gruppo di ragazzini intenti a giocare. Poi due di loro cominciano a discutere, spintonandosi. All’improvviso uno dei due sferra un colpo con un bastone sul volto dell’altro, atterrandolo. Stacco. Ci troviamo in un elegante appartamento newyorkese, a Brooklyn. I genitori dell’aggressore si sono recati a casa dei genitori dell’aggredito per appianare, con civiltà e buona educazione, l’incresciosa situazione. Il ragazzo colpito ha avuto un trauma, e rischia di perdere due denti. Ma in definitiva non è così grave. Le due famiglie sono benestanti. I padroni di casa Longstreet (Jodie Foster e John Reilly) vogliono più che altro un risarcimento morale, visto che i danni materiali sono coperti dall’assicurazione. Si sentono offesi dall’oltraggioso gesto. I genitori dell’aggressore, i Cowan, coppia economicamente e culturalmente più elevata (Kate Winslet e Christoph Waltz), sulla difensiva, cercano di venire incontro alle richieste della parte offesa. Si intuisce che non desideravano proprio avere quell’incontro. Ma le regole della corretta convivenza, e soprattutto il sentirsi comunque responsabili del gesto sbagliato compiuto dal loro ragazzo, li ha spinti al gesto conciliante. Sarebbe stato meglio staccare un assegno, e chiuderla lì. Ma un atto così materiale avrebbe irritato non poco i Longstreet. Quindi obbligo di parlare, smussare gli angoli, prendere un caffè e un pezzo di torta, fingere cortesia. Questo teatrino del “politicamente corretto”, parola dopo parola, caffè dopo caffè, bicchiere di whiskey dopo bicchiere di whiskey, è destinato a saltare fragorosamente. Inizia così, lentamente e inesorabilmente, un gioco al massacro. Prende corpo la carneficina (nutrita di sole parole, scaricate come pallottole) del titolo. Gli uomini sono quello che sono, anche se hanno case, auto, vestititi, status sociali, diversi dalla loro autentica natura. A rompere il clima non idilliaco, pur se cortese, dell’incontro, serviva un fatto banale. Ed arriva: la signora Cowan ha un improvviso quanto incontenibile conato di vomito, che finisce per depositarsi sul tavolo dove la signora Longstreet tiene alcuni bei libri d’arte, impiastricciandoli di residui maleodoranti. La bomba è esplosa, con precisione chirurgica (non solo narrativa, ma anche valoriale) e da quel momento l’incendio delle recriminazioni (sociali, sessuali, professionali, ideologiche, caratteriali) divampa. Saltano maschere, buone maniere, abiti indossati per nascondere tormenti e debolezze, frustrazioni e insoddisfazioni.Roman Polanski ha trasportato sullo schermo il testo teatrale della franco-iraniana Yasmine Reza, lasciando Parigi per rifugiarsi nella più adatta New York. Se rimanessimo alla superficie estetica poco o nulla ci sarebbe da aggiungere. Del resto quando sulla scena ci sono attori come Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John Reilly (solo quest’ultimo non ha vinto ancora un premio Oscar, e per puro caso), e dietro la macchina da presa c’è Roman Polansky, è quasi impossibile sbagliare. Dovremmo però rimanere alla superficie. Se invece scaviamo un po’ più a fondo, allora emerge in maniera limpida la vera natura del film. “Carnage” è il ritratto spietato di falsità, ipocrisia, corruzione, ferocia, della borghesia, ben nascosta a due passi da Manhattan. È questa l’America? È così mal ridotto il sogno americano? Si tratta dell’ennesima incomprensione degli europei per l’America, cominciata nei primi due decenni del secolo passato, quando i francesi colti denunciavano il cancro americano. Il cancro ce l’avevano a casa (fascismo e comunismo) ma non lo vedevano. E il cancro oggi ha il volto del relativismo e del nichilismo, metastasi annidate da sempre nel cinema cosmopolita di Roman Polansky.
Autore: Claudio Siniscalchi http://www.familycinematv.it/node/1147