La scuola e l’istruzione sono importantissime a qualunque latitudine e sotto qualunque cielo.
E questo, senza discuterlo, dovrebbe essere un assunto ben radicato nelle coscienze.
Eppure sono anni che sulla scuola in generale (è un po’ il giochino dell’amico del giaguaro da parte delle lobbie di potere) si getta, a ogni piè sospinto, ogni genere di discredito.
Questo accade specie nel nostro Paese dove i media (tv e giornali) , complice una società complessa che stenta a tenere il passo con i grossi cambiamenti in atto, che sostanzialmente la spaventano, sottolineano, spesso e volentieri, addirittura l’inutilità dello studio in genere o del conseguimento della laurea.
Laurea che per molti, attualmente, equivale a un pezzo di carta inutile.
C’è una predilezione (a chiacchiere) per il saper fare,che poi non trova quasi mai riscontro nella realtà effettiva e una presunzione di maniera in quanto ci sentiamo tuttologi, senza dovere ricorrere alla scuola, giusto perché oggi abbiamo un po’ d’informazioni in più rispetto alle precedenti generazioni
Ma non è certo così se, invece, ci spostiamo leggermente agli antipodi del nostro pianeta.
Il film-documentario “Vado a scuola” di Pascal Plisson ci racconta (e siamo nel Sud del mondo), infatti, tutte altre storie. E ci piace. Molto.
In Kenya c’imbattiamo in un tale Jackson, un preadolescente di appena dieci anni, la cui famiglia fa sacrifici enormi, sgobbando in ogni modo da mattino a sera, pur di mandarlo a scuola, perché abbia un avvenire migliore.
Nel film lo seguiamo passo dopo passo mentre fa chilometri con la sorellina Salomé, attraverso la savana, pur di raggiungere l’edificio scolastico lontanissimo dal proprio villaggio.
E questo con ogni tempo, e con la paura in cuore d’imbattersi in quei mastodonti, che sono gli elefanti oppure altri animali selvatici.
Sempre, a piedi, andiamo dietro a Zahira per i gelidi sentieri montani del’Alto Atlante in Marocco.
Zahira ha anch’ella circa undici anni e fa la sua strada per raggiungere il collegio, che frequenta, con le coetanee Noura e Zineb.
Se lasciamo l’Africa è raggiungiamo la Patagonia, una terra americana, la nota terra dei gauchos, che ha alimentato, in un recente passato, anch’essa tanti sogni e molteplici fantasie, incontriamo Carlito e la sorellina Micaela che, a cavallo, raggiungono la loro scuola. E i due lo fanno con il sorriso sulle labbra e tantissima disinvoltura
E, ancora, nel Golfo del Bengala, nell’India meridionale, Samuel, sempre undicenne, e purtroppo condannato da una polio maligna su di una sedia a rotelle, è aiutato da due suoi fratelli, Gabriel ed Emanuel , perché possa raggiungere la scuola, al termine della quale sogna di diventare medico e curare la gente che ne ha bisogno.
Nel finale delle differenti storie assistiamo, in conclusione, per tutte a un lieto fine, in un certo senso prevedibile, se si considera l’intenzionalità del messaggio, che s’intendeva veicolare.
Per noi e per i nostri ragazzi una proiezione, per chi avesse la fortuna di poterla vedere nelle sale cinematografiche cittadine, che è una sfilata di esempi positivi di contro a tanto cinismo e superficialità, quando non addirittura violenza gratuita che filtra, senza rispetto per lo spettatore, da certe produzioni che ai nostri giorni inondano gli schermi.
Poi vale molto, a mio parere, lo stimolo per tutti alla riflessione che lo studio, non è vero ciò che pensano dicono i detrattori e gli scansafatiche, ma anche oggi paga e sempre. E, soprattutto, i frutti sono più saporosi quando, dietro a questo genere d’impegno, ci sono sacrifici autentici.
E’ piacevole persino ricordarli, alla lunga, nel tempo. Rende orgogliosi. E certamente di un orgoglio sano.
“Vado a scuola”, diretto dal francese Pascal Plisson è una produzione mix di Francia, Cina, Sudafrica, Brasile e Colombia.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)