Amici miei questo è un film volutamente lento e forte nei contenuti. Racconta la difficile pre-adolescenza di una “banda” di ragazzini, immigrati meridionali nel desolato quartiere gli Alveari alla periferia di una grande città del Nord. L’adolescenza di questi ragazzini è simile a quella di tanti miei coetanei, che hanno vissuto tempi in cui i ragazzi ancora erano in strada abbondanati a se stessi. Bello il contrasto tra il figlio di uno dei protagonisti della storia, che vive la stessa età in cui al padre sono accadute le vicende drammatiche, in maniera moderna, attuale, illusoriamente migliore.
Nella terra di nessuno, tra città e campagna, un grande deposito – immenso “mostro” di rugginosi rottami metallici – è il luogo del gioco e dell’avventura. D’improvviso un altro mostro irrompe, stavolta in carne ed ossa. Due bambine vengono violentate e uccise e d’un tratto tutto cambia: la banda di bambini si troverà ad affrontare da sola il mostro…
I tre personaggi rappresentano con efficacia il trauma di ragazzi non direttamente abusati, ma che hanno vissuto la malvagia di un adulto malato. Naturalmente il discorso sull’abuso e sulla violenza sui bambini, richiederebbe un articolo lunghissimo, ma come sempre lo spunto vi viene dato per riflettere.
Mi hanno colpito in maniera particolare due passaggi: i ragazzi che hanno paura di raccontare agli adulti, convinti di non essere creduti e la professoressa di arte che si scontra con i colleghi e la loro illusoria richiesta di poter essere insegnanti e educatori oggettivi a prescindere dall’Essere dell’alunno e dalla sua storia. Complimenti a Daniele Gaglianone il regista, per questi tempi che permettono alla storia di penetrare le difese da argomenti così forti e ai meravigliosi attori: i ragazzi su tutti e poi Valeria Solarino, Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea, che confermano ove ve ne fosse bisogno, il grande spessore intellettuale, la creatività e l’intelligenza di parte del cinema italiano.