Il dolore di un figlio per la perdita dell’adorata madre, i momenti finali della vita della donna che resta disperatamente attaccata alla vita e che soffre nel constatare la decadenza inevitabile. E poi la necessità di continuare a lavorare sapendo che la madre sta morendo, il rapporto nonna-nipote, i particolari all’interno dei quali, contrariamente a una nota massima, c’e’ il divino, il sentimento fatto di lacrime e dolore, di nostalgia e ricordo. Questo è il cuore di “Mia madre”, l’ultimo atteso film di Nanni Moretti che arriverà in oltre 400 sale il 16 aprile.
“Mia Madre”, un film coinvolgente e commovente. Un film che ha fatto piangere durante la proiezione per la stampa una buona metà dei giornalisti presenti. Troppo coinvolgente il tema e troppo sensibili le corde toccate per restare indifferenti. Eppure questo film non è un melodramma strappalacrime. E’ un film morettiano, con tanto di personaggi sopra le righe, a partire dalla regista alter-ego di Moretti interpretata da Margherita Buy, nel ruolo della figlia dell’anziana donna morente (una bravissima Giulia Lazzarini), per proseguire col di lei fratello interpretato dallo stesso Moretti, un uomo meticoloso e apparentemente freddo, che viene schiacciato dal lutto al punto da lasciare anche il lavoro. Poi c’è l’attore protagonista del film che sta girando la regista, un estroso e capriccioso divo americano che risulta un palmo sopra a tutti grazie all’interpretazione di John Turturro (senza nulla togliere agli altri bravissimi interpreti).
La “trilogia del lutto” di Moretti: figlio, moglie e mamma. Dopo aver raccontato e fatto piangere con la tragica scomparsa del primogenito in “La stanza del figlio”, dopo aver conquistato il pubblico con una grande prova d’attore raccontando la morte della moglie in “Caos calmo”, ora è la volta della mamma. Una vera e propria “trilogia del lutto” che, seppure il regista non condivida questa definizione, di fatto segna un definitivo cambiamento nella cinematografia morettiana. Abbandonata la polemica politica, l’antiberlusconismo, la critica alla sinistra fatta dall’interno, ormai il “vecchio” Nanni Moretti pensa a fare cinema. Pensa a emozionare e colpire al cuore. E lo fa in maniera leggera, parlando di morte senza compiacimento né ostentazione del dolore. Fin dai tempi di “Palombella rossa” Moretti ha applicato più o meno volontariamente la filosofia di Wittgenstein: sa bene che il linguaggio è importante e che più è popolare, maggiore sarà la platea. Sia che si tratti di linguaggio parlato, sia che si tratti di cinema.
Inoltre, forse per pudore o per avere le “mani libere”, ha affidato le lacrime, le nevrosi, il dramma interiore e il senso di inadeguatezza verso l’anziana madre a una donna, alla regista alter-ego interpretata da Margherita Buy. Una scelta fatta fin da subito in fase di sceneggiatura che risulta, dopo un’iniziale fase di disorientamento, vincente. (AGI)