Cinema - "Novecento" - Recensione di Angela Laugier (seconda parte)

Creato il 24 agosto 2014 da Tafanus

Recensione del film "NOVECENTO" (seconda parte) - di Angela Laugier

Regia: Bernardo Bertolucci

Principali interpreti del secondo atto: Alida Valli, Dominique Sanda, Donald Sutherland, Gerard Depardieu, Laura Betti, Pietro Longari Ponzoni, Robert De Niro, Werner Bruhns

Alfredo aveva conosciuto Ada a Parma, nella casa dello zio Ottavio, dov’era approdato dopo l’avventura del mattino, invero poco onorevole, quando, insieme al suo amico Olmo,  si era imbattuto in una giovane prostituta epilettica. Olmo ne era tornato molto turbato: Anita, con po’ di ceffoni, lo aveva liberato dal senso di colpa. Alfredo invece, a casa dello zio, aveva incontrato lei, la bellissima Ada. Al primo impatto, in verità, non aveva potuto vederla molto bene, perché il suo viso era celato da una massa di capelli bagnati che stava cercando di asciugare. Poi, liberando la fronte, la donna aveva scoperto i suoi bellissimi occhi e acceso un sigaro, cosa assai singolare, allora, soprattutto per uno come lui, cresciuto e allevato in campagna. Ada si rivelava, poco dopo, intenditrice d’arte e di cultura, nonché capace di guidare l’auto, altra cosa rara per l’epoca, e di scrivere poesie secondo la moda futurista. Affascinante nei modi, elegante, spregiudicata e apparentemente sicura di sé, nutrita di buone letture, lasciava trasparire un’ottima educazione e una intelligente curiosità per le esperienze più diverse; aborriva la volgarità dei fascisti e la loro violenza che rifiutava di vedere, ragione per la quale talvolta si fingeva cieca. Alfredo ne era rimasto incantato: sarà lei a riportarlo a casa sull’auto dello zio. Lungo il percorso la sua particolare “cecità” si era manifestata, quando, durante il sorpasso di un convoglio di squadristi, aveva messo a rischio la propria vita e quella di lui. Saranno insieme, con Olmo e Anita, al ballo che precede l’incendio della casa del popolo.

Nella scena dell’incontro è compendiato, mirabilmente, il ritratto di Ada, connotata, nel corso di tutto il film, dall’inafferrabilità, splendidamente espressa da quei capelli che la nascondono. E’ davvero un personaggio singolare e sfuggente, come aveva avvertito subito, del resto, lo stesso Alfredo, continuamente spiazzato dal suo comportamento. Diversamente da altri, Ada era capace di astrarsi dal presente per non vedere gli orrori e le brutture che le stavano intorno, volgendo altrove, più in alto, forse, quegli occhi magnifici e limpidi, che forse cercavano aria pulita, al di sopra delle soffocanti nebbie della “Bassa”. Nei suoi pensieri inquieti, sognava di spostarsi con Alfredo verso lidi che sperava, invano, finalmente lontani dalle camicie nere: per questo insieme a lui aveva raggiunto Capri, dove zio Ottavio si stava dilettando con la fotografia artistica (ritraendo divinità boscherecce, ovvero ignudi giovanotti in posa sugli alti faraglioni). Talvolta si assentava dal presente anche attraverso viaggi “altri”, nei paradisi artificiali della cocaina, che lo stesso Ottavio si procurava su quell’isola*.

L’Aventino dorato dei due innamorati a Capri, però, non sarebbe durato a lungo: un telegramma aveva avvisato lui della morte improvvisa del padre. Alla morte di Giovanni, il matrimonio di Ada e Alfredo, poco opportunamente annunciato e quasi subito celebrato, aveva acceso la speranza che nella proprietà dei Berlinghieri qualcosa sarebbe cambiato nei rapporti con i contadini. Olmo e anche Ada, a più riprese, avevano inutilmente chiesto ad Alfredo l’allontanamento di Attila, ormai convinto e spietato squadrista, a cui il giovane padrone non aveva voluto togliere la conduzione dei poderi e della casa, neppure quando, in sua presenza, Attila, che aveva appena violentato e ucciso il piccolo Patrizio Vanzini, con la complicità perversa di Regina, la sua diabolica amante, aveva cercato di massacrare di botte Olmo, accusandolo del delitto. Il fatto è che Alfredo, anche se non aveva mai amato i fascisti, aveva bisogno dei loro servigi, come tutti gli altri padroni della zona (e anche come molti industriali del nord): gli mancava la voglia, e la capacità di occuparsi direttamente delle proprietà; era diverso dal nonno che non aveva temuto di condividere con i suoi stallieri e con i contadini “sterco e sudore” e qualche buona bottiglia, talvolta. Era un “rentier”, che avrebbe preferito occuparsi d’altro, ritenendo che poche e salutari mortificazioni sarebbero state sufficienti a ristabilire le giuste distanze fra lui (era o no il padrone?) e il suo “cane da guardia”, così come Attila si lasciava definire dalla stessa Regina. Le umiliazioni, però, non facevano altro che accrescere la rabbia impotente e invidiosa del suo fattore, nonché i propositi di vendetta, anche da parte di Regina. Ora si stava sgretolando il matrimonio con Ada, che era nato troppo in fretta e male: i festeggiamenti erano stati turbati da alcuni sinistri presagi. In primo luogo Alfredo aveva notato con dispiacere l’assenza di Olmo, (Anita era morta da qualche tempo, durante il parto della loro bambina, che si sarebbe chiamata come lei): probabilmente l’amico aveva preferito andarsene per i fatti suoi, piuttosto di accettare l’umiliazione di festeggiare le nozze nella stanza dei servi. Non si era visto neppure lo zio Ottavio, che era arrivato in ritardo, ma con un un regalo speciale per la sposa: lo splendido cavallo bianco (dal nome evocativo: Cocaina), che le avrebbe consentito di allontanarsi subito, ancora coll’abito nuziale, pur di non vedere il dilagare sguaiato delle camicie nere nella bella casa, tollerato da tutti gli invitati, mentre in quello stesso giorno Attila e Regina avrebbero orribilmente stuprato e successivamente massacrato il piccolo Patrizio. Il rientro di Olmo e di Ada sul suo bel cavallo e il ritrovamento del corpo straziato del piccino, seguito dal tentativo non riuscito di  massacrare il sovversivo Olmo Dalcò, avevano chiuso una giornata da dimenticare. Ada, però, non dimenticava né l’immobilità del marito di fronte ai soprusi e alle ingiustizie di Attila, né l’ostilità aperta di Regina; aveva cercato di far qualcosa di utile, insegnando alla bambina di Olmo a leggere e a scrivere, ma questo suo impegno non era stato apprezzato né da Olmo, né da Alfredo, che di Olmo stava diventando geloso. Avrebbe allora cominciato un altro viaggio, un doloroso percorso di abbrutimento, attraverso il vino, negato nella sua casa (era Regina a custodire le chiavi della dispensa), ma ottenuto nelle osterie più sordide, dove in una memorabile e nevosa notte di Natale Alfredo era riuscito a scovarla. La scoperta, al loro ritorno, di un nuovo delitto (ancora Attila!) aveva fatto maturare in lei la decisione di troncare ogni rapporto col marito, dapprima rinchiudendosi in camera sua e successivamente abbandonando per sempre la casa e facendo perdere definitivamente le proprie tracce. Si era forse congiunta ai movimenti di resistenza che clandestinamente si stavano organizzando sull’Appennino?

Alla fine del film, cioè nel racconto del 25 aprile che, circolarmente, ci riporta al suo inizio, potrebbero indurci a crederlo alcune affermazioni di Olmo, che a quella lotta clandestina aveva partecipato ed era tornato “bello di fama e di sventura”, come l’Ulisse foscoliano. E’ certo, però, che ancora una volta la donna aveva spiazzato tutti, confermando la sua sfuggente inafferrabilità, così come la sua limpida e ferma ripulsa di ogni violenza. Torna ancora in mente quel suo sguardo alla ricerca di un mondo pulito, rispecchiandosi nel quale, il regista sembra, in conclusione, esprimere il suo giudizio su tutti i suoi personaggi.

Si è spesso rimproverato a Bertolucci una sorta di faziosità manichea, che lo avrebbe spinto a fare un film in cui tutti i buoni sono dalla parte degli antifascisti e tutti i cattivi sono dall’altra, come dimostrerebbe proprio la figura di Attila, vero genio del male. Non riesco a leggere il film in questo modo: tutte le figure rilevanti di questo film, andrebbero considerate per ciò che rappresentano emblematicamente: Olmo, tenacemente legato ai valori dei Dalcò, è ingenuo e un po’schematico nel modo di pensare e nel comportamento, incarna un modo di far politica senza molte mediazioni culturali: è un eroe coraggioso, che può suscitare simpatia, ma col quale è difficile identificarsi; Alfredo è un antifascista più complesso e tormentato, ma non è sufficientemente coraggioso per rompere decisamente con gli altri agrari impegnati a oltranza nella difesa della “roba” e, in ogni caso, è incapace di elaborare una proposta politica in grado di coinvolgere gli altri proprietari in una forma di opposizione liberale. Attila non è il cattivo per antonomasia, né lo è in quanto fascista: è un uomo mediocre, senza qualità, vile e invidioso; non è il male incarnato (che lo renderebbe un personaggio tragico), ma è piuttosto l’incarnazione della banalità del male, favorito dalla degenerazione dello stato, che rinunciava al suo compito istituzionale di far rispettare le leggi, uguali per tutti i suoi cittadini.

In tutto il film, però, il vero protagonista è il “quarto stato”, esplicitamente evocato nei titoli di testa e di coda, sovrapposti al celebre dipinto di Pelizza da Volpedo e identificato qui con l’intero popolo della Bassa, che con la sua umanità e anche con la sua memoria fatta di canti, di danze, di espressioni dialettali, ma soprattutto di storie direttamente vissute o sentite raccontare, permette al regista la realizzazione di questo grande affresco corale, la ricostruzione di un’epoca, che è un pezzo fondamentale della nostra storia. E’ quasi un invito a ricordare, che si dispiega per tutta la durata della pellicola, stupefacente per la quantità di emozioni che ancora suscita, dopo tanti decenni. Mi sembra questa l’eredità duratura del film, che al di là delle singole scene, più o meno riuscite, ci dà, attraverso una serie di quadri potentissimi, un’indimenticabile rappresentazione di come eravamo.

E’ un film di parte? Lo è, ma questo è un pregio, non un limite: Bertolucci non aveva voluto affatto mettersi al centro di “opposti estremismi”, aveva voluto, invece, chiarire da quale parte ci si era dovuti schierare per opporsi all’arroganza e all’ingiustizia dei potenti, nelle zone emiliane, come dappertutto! Di questo, credo, tutti dovremmo prendere coscienza. Grazie allora a questo nostro grande regista per lo splendore lirico della prima parte, per i cupi drammi della seconda, per i personaggi indimenticabili che ancora vivono, amano e soffrono davanti ai nostri occhi, per gli attori straordinari (popolari e professionisti) che hanno dato se stessi, per le musiche meravigliose che accompagnano le scene, per la splendida fotografia di Vittorio Storaro, e grazie anche al mirabile restauro che ci restituisce il film in tutta la sua suggestione.
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* la sniffata e la successiva danza hanno probabilmente ispirato la scena famosa dell’overdose di Uma Thurman in Pulp Fiction di Tarantino, che ha citato sicuramente questo film anche nelle Jene: il taglio dell’orecchio dell’atto 1.

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Le immagini del soggiorno a Capri di Ada e Alfredo, cioè l’inizio dell’atto 2, sono attualmente visibili su Youtube. Potete raggiungerle attraverso questo documento direttamente dal blog.

Angela Laugier

1908/0630/0930


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