Recensione del film "UN INSOLITO NAUFRAGO NELL’INQUIETO MARE D’ORIENTE" (di Angela Laugier)
Titolo originale: Le cochon de Gaza
Regia: Sylvain Estibal
Principali interpreti: Sasson Gabay, Baya Belal, Myriam Tekaïa, Gassan Abbas, Khalifa Natour,
Lotfi Abdelli, Ulrich Tukur – 98 min. – Francia, Germania, Belgio 2011.
Un grazioso film sui problemi mediorientali, dal titolo Le cochon de Gaza, diventa, per qualche strana pensata made in Italy “Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’oriente”. Quando si dice creatività!
In realtà, le cochon, cioè il porcellino in questione, non è un insolito naufrago, ma è l’oggetto di un’insolita pescata del povero Jafaar, lo sfortunato palestinese che ormai è costretto non solo a vivere in un limitatissimo spazio nella striscia di Gaza, addirittura lungo il muro di separazione dallo stato di Israele, ma anche a trascinare le sue reti in un angusto tratto di mare, dove scarpe, ciabatte spaiate e vecchi oggetti inservibili sembrano essere più abbondanti dei pesci. Certo, di maialini, finora, non se ne erano visti mai, anche per la maledizione divina che secondo le due religioni rivelate, ebraismo e islam, colpisce le impure carni di questi impuri animali, che, anche se non hanno mai fatto male a nessuno, sono banditi dalle terre consacrate ad Allah, così come da quelle consacrate al dio di Israele. Da dove provenisse allora il maialino finito nelle reti di Jafaar nessuno era riuscito a capire; certo per Jafaar l’arrivo inaspettato era quasi il segno, l’ennesimo, di una inspiegabile punizione divina nei suoi confronti.
Eppure… da notizie raccolte qua e là, nel tentativo di sbarazzarsi dell’importuno e temibile animale, Jafaar aveva appreso che un gruppo di ebrei russi, laicamente incurante di tabù e divieti, aveva fatto di un allevamento suino, un prospero business legato all’esportazione dei prodotti delle carni lavorate. Tale attività, che era tollerata all’interno della comunità ebraica (veniva apprezzato molto il fiuto grazie al quale questi animali sono eccezionali nel segnalare gli esplosivi), ora sembrava in procinto di andare a rotoli per l’inaspettata morte del robustissimo maschio il cui sperma era stato fondamentale per riprodurre i suini dell’allevamento in questione. Non mi dilungherò a narrare i grotteschi sviluppi della vicenda, che sono insieme divertenti e tragici: il maialino è costretto a portare dei calzerotti a righe, per muoversi senza contaminare il terreno sotto le sue zampe e a essere camuffato da pecora per evitare scandali, aggressioni e panico durante gli spostamenti lungo la striscia di Gaza. L’alleanza segreta fra l’allevatrice russa e lo sfortunato Jaffaar produrrà però molti frutti positivi e soprattutto riuscirà ad alleviare la miseria di lui e della moglie Fatima, a dimostrazione che i pregiudizi nati dalla irrazionale valutazione della realtà possono essere superati con molto profitto, tenendo lontana la violenza, del tutto inutile per riportare la giustizia fra gli uomini. D’altra parte, i bisogni umani sono di solito molto più semplici di quanto si creda e accomunano anche le persone apparentemente più lontane: lo aveva già capito Fatima, costretta a convivere, durante la giornata, con i soldati israeliani di guardia che le avevano requisito una parte della casa e che ora seguivano con lei, nel povero calore di ciò che restava di quell’abitazione, i programmi televisivi, raccontandole, intanto, della famiglia lontana, delle loro angosce umanissime, delle loro aspirazioni alla pace. Una bella favola, quasi un apologo pacifista, magari un po’ ingenuo, ma molto utile a riflettere, e interessante grazie anche all’umorismo sorridente delle trovate e alle svolte inattese che costellano lo svolgimento del racconto. Il film, che è del 2011 e che vediamo, come al solito, con ritardo sui nostri schermi, è stato insignito nel 2012 del premio César per la migliore opera prima, ed è, a mio avviso, gradevole da vedere, molto ben diretto e recitato benissimo.
Angela Laugier
2307/0630/1900