Siamo negli anni 50, più precisamente 1958. Margaret Ulbrich scappa dalla sua casa in California con la figlia Jane per dirigersi a San Francisco, in quanto non riesce più a gestire il suo matrimonio col marito Frank. A San Francisco la donna cerca lavoro ma nonostante il suo incredibile talento, le possibilità di sistemarsi economicamente scarseggiano. L'essere donna, in quell'epoca, non è neanche un incentivo per lei in quanto, come viene detto più in là nel film, l'arte fatta dalle donne non viene presa sul serio. L'unico modo con cui riesce a guadagnarsi qualche spiccioletto è realizzando ritratti per strada. La donna viene ben presto avvicinata da Walter Keane che ci prova spudoratamente poiché fortemente attratto dalla donna. Walter è un agente immobiliare che per hobby dipinge i vicoli di Parigi, città nella quale afferma di aver vissuto per un po' di tempo e studiato in una delle più prestigiose università in ambito artistico. Margaret invece adotta uno stile particolare: i soggetti dei suoi quadri sono perlopiù bambine, spesso prendendo a modello la figlia, ritratte con occhi enormi ed sproporzionati rispetto al resto del corpo per sottolineare l'importanza di questi ultimi e per riuscire a caratterizzare meglio i soggetti delle sue opere. I due incominciano a frequentarsi e Margaret è subito ammaliata dai modi di fare di Walter. I due finiscono per sposarsi prestissimo alle Hawaii, complice il fatto che l'ex marito di Margaret si era rifatto vivo con l'intento di portarle via la figlia, non ritenendola adeguata come madre. Walter ammira tantissimo i lavori di Margaret e vorrebbe che fossero esposti in importanti gallerie d'arte, le quali però rifiutano i quadri della donna poiché in quegli anni era l'astrattismo a farla da padrone. Durante una serata in un famoso locale della zona, Walter chiede al proprietario Enrico Banducci di poter esporre sia i suoi quadri che quelli di Margaret. Banducci però li fa sistemare nel corridoio che porta ai bagni dei locali, Walter si offende profondamente e litiga con Banducci spaccandogli in testa uno dei quadri di sua moglie. La notizia suscita scalpore ma provoca un inaspettato effetto collaterale: il giornalista Dick Nolan( che è anche la voce narrante della storia di Margaret) si interessa alla vicenda e l'afflusso di gente al locale aumenta, tutti spinti dalla curiosità di vedere i quadri che hanno portato allo scontro tra Walter e Banducci. Walter si rende conto che le attenzioni del pubblico sono rivolte quasi esclusivamente ai dipinti della moglie e approfittando del fatto che sia i suoi quadri che quelli di Margaret sono firmati col cognome Keane ( perché Margaret, una volta sposata, ha ovviamente assunto il cognome del marito), decide di spacciarle per sue creazioni, affermando di essere lui l'autore perché sostiene che in questo modo i lavori venderanno di più, grazie anche al suo carisma e alla sua innata abilità di riuscire a concludere trattative e affari in breve tempo. Margaret scopre presto il piano subdolo di Walter e ne rimane profondamente ferita, ma quando le vendite e i guadagni aumentano inesorabilmente accetta passivamente questo stato delle cose. Le sue opere che ritraggono questi "trovatelli" diventano famosissime ma col passare del tempo la relazione tra Margaret e Walter si inasprisce sempre di più, anche perché lui le impone categoricamente di non fare parola con nessuno riguardo al loro "accordo". Questo film si discosta notevolmente dallo stile classico di Burton. Innanzitutto perché non ci sono gli onnipresenti Depp e Bonham Carter ( scherzo, ma fino a un certo punto!) ma anche perché le atmosfere cupe e macabre che sono il tratto distintivo delle sue produzioni sono qui totalmente assenti. Il motivo principale è che siamo davanti ad un biopic, termine inglese che sta per biographic picture ossia un film tratto dalla biografia di un personaggio realmente esistito, in questo caso la pittrice Margaret Keane. Non è la prima volta che Tim si cimenta con questa tipologia di film, infatti ne aveva già realizzato uno nel 1994, basato sulla vita e sulle opere cinematografiche di quello che è stato definito "il peggior regista di tutti i tempi": Ed Wood. Già dall'inizio del film è chiaro e limpido che c'è poco di burtoniano, anche perché la sceneggiatura non è opera sua ma è stata scritta da Scott Alexander e Larry Karaszewski, gli stessi di Ed Wood. La fotografia è molto luminosa, c'è una sovrabbondanza di colori caldi e vividi in contrapposizione agli scenari tipicamente dark, anche se ci sono rimandi alle sue pellicole precedenti. All'inizio, per esempio, il campo lungo della strada in cui abita Margaret prima di fuggire dal primo marito, con le villette a schiera in perfetto stile da sobborgo americano mi ha fatto pensare a Edward Mani di Forbice per l'ambientazione molto simile. Anche se si tratta di un film basato su fatti realmente accaduti, non mancano qua e là sprazzi di momenti surreali e onirici come quando Margaret, che si trova al supermercato, trova esposte delle copie dei suoi dipinti e presa da un momento di confusione le sembra di vedere attorno a lei solo persone dagli occhi enormi, proprio come le bambine che ritrae. Il regista si avvale ancora una volta del compositore Danny Elfman per realizzare la colonna sonora che dà quel leggero alone di atmosfera fiabesca che contrasta con la natura realistica dei fatti che vengono narrati. Gli interpreti magistrali, a partire da Amy Adams che impersona una Margaret buona, gentile, decisamente ingenuotta e naive ma che dimostra di essere dotata di una grande forza interiore, che la porta prima a fuggire dalla sua vecchia vita con Frank, da sola e con una figlia da mantenere e poi a ribellarsi alla dittatura imposta da Walter. Un personaggio che probabilmente sarà apprezzato dalle femministe convinte perché incontra il peggior uomo del mondo, che la ama anche in un primo momento e la declassa successivamente a macchina sforna soldi, riuscendo alla fine a cavarsi fuori da sola da questa situazione opprimente e ad ottenere la propria rivincita. Christoph Waltz altrettanto bravo nel ruolo di Walter e nell'essere riuscito a tratteggiarne straordinariamente la doppia personalità di uomo prima affabile e carismatico ma che si rivela essere ambizioso e vanaglorioso, che ha a cuore solo i propri interessi e che non esiterebbe a uccidere la propria moglie se i suoi piani fossero ostacolati, infatti il film segue la parabola discendente della sua sanità mentale sino al finale tragicomico (più comico che tragi). Onestamente, ero un po' scettico riguardo a Big Eyes perché devo confessarvi che quando ho visto Ed Wood per la prima(ed unica)volta, mi sono addormentato e mi sono risvegliato a fine film. Era stata come la triste conferma che il mio adorato Tim non era capace di muoversi in generi cinematografici totalmente diversi dal suo stampo e quindi non avevo grandi aspettative.Alla fine sono rimasto piacevolmente sorpreso e a mio parere è un ottimo film e non perché sono di parte, ma perché Burton ha finalmente dimostrato di poter tranquillamente fare altro rispetto alla propria tradizione personale fatta di atmosfere malinconiche, popolata da scheletri, mostriciattoli, marziani e cavalieri mozza teste e soprattutto ricorrendo a nuovi volti del grande cinema hollywoodiano e mettendo da parte i sodalizi con i suoi cosiddetti "attori feticcio" come appunto Jhonny Depp. Vi lascio con una canzone scritta appositamente per il film e cantata da Lana Del Rey. Indovinate un po' il titolo? Buon ascolto e buona visione!
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Cinemaholic with Fede #21 Gli occhi sono lo specchio dell'anima- Big Eyes di Tim Burton
Creato il 18 febbraio 2015 da L'Aspirante BiondoSiamo negli anni 50, più precisamente 1958. Margaret Ulbrich scappa dalla sua casa in California con la figlia Jane per dirigersi a San Francisco, in quanto non riesce più a gestire il suo matrimonio col marito Frank. A San Francisco la donna cerca lavoro ma nonostante il suo incredibile talento, le possibilità di sistemarsi economicamente scarseggiano. L'essere donna, in quell'epoca, non è neanche un incentivo per lei in quanto, come viene detto più in là nel film, l'arte fatta dalle donne non viene presa sul serio. L'unico modo con cui riesce a guadagnarsi qualche spiccioletto è realizzando ritratti per strada. La donna viene ben presto avvicinata da Walter Keane che ci prova spudoratamente poiché fortemente attratto dalla donna. Walter è un agente immobiliare che per hobby dipinge i vicoli di Parigi, città nella quale afferma di aver vissuto per un po' di tempo e studiato in una delle più prestigiose università in ambito artistico. Margaret invece adotta uno stile particolare: i soggetti dei suoi quadri sono perlopiù bambine, spesso prendendo a modello la figlia, ritratte con occhi enormi ed sproporzionati rispetto al resto del corpo per sottolineare l'importanza di questi ultimi e per riuscire a caratterizzare meglio i soggetti delle sue opere. I due incominciano a frequentarsi e Margaret è subito ammaliata dai modi di fare di Walter. I due finiscono per sposarsi prestissimo alle Hawaii, complice il fatto che l'ex marito di Margaret si era rifatto vivo con l'intento di portarle via la figlia, non ritenendola adeguata come madre. Walter ammira tantissimo i lavori di Margaret e vorrebbe che fossero esposti in importanti gallerie d'arte, le quali però rifiutano i quadri della donna poiché in quegli anni era l'astrattismo a farla da padrone. Durante una serata in un famoso locale della zona, Walter chiede al proprietario Enrico Banducci di poter esporre sia i suoi quadri che quelli di Margaret. Banducci però li fa sistemare nel corridoio che porta ai bagni dei locali, Walter si offende profondamente e litiga con Banducci spaccandogli in testa uno dei quadri di sua moglie. La notizia suscita scalpore ma provoca un inaspettato effetto collaterale: il giornalista Dick Nolan( che è anche la voce narrante della storia di Margaret) si interessa alla vicenda e l'afflusso di gente al locale aumenta, tutti spinti dalla curiosità di vedere i quadri che hanno portato allo scontro tra Walter e Banducci. Walter si rende conto che le attenzioni del pubblico sono rivolte quasi esclusivamente ai dipinti della moglie e approfittando del fatto che sia i suoi quadri che quelli di Margaret sono firmati col cognome Keane ( perché Margaret, una volta sposata, ha ovviamente assunto il cognome del marito), decide di spacciarle per sue creazioni, affermando di essere lui l'autore perché sostiene che in questo modo i lavori venderanno di più, grazie anche al suo carisma e alla sua innata abilità di riuscire a concludere trattative e affari in breve tempo. Margaret scopre presto il piano subdolo di Walter e ne rimane profondamente ferita, ma quando le vendite e i guadagni aumentano inesorabilmente accetta passivamente questo stato delle cose. Le sue opere che ritraggono questi "trovatelli" diventano famosissime ma col passare del tempo la relazione tra Margaret e Walter si inasprisce sempre di più, anche perché lui le impone categoricamente di non fare parola con nessuno riguardo al loro "accordo". Questo film si discosta notevolmente dallo stile classico di Burton. Innanzitutto perché non ci sono gli onnipresenti Depp e Bonham Carter ( scherzo, ma fino a un certo punto!) ma anche perché le atmosfere cupe e macabre che sono il tratto distintivo delle sue produzioni sono qui totalmente assenti. Il motivo principale è che siamo davanti ad un biopic, termine inglese che sta per biographic picture ossia un film tratto dalla biografia di un personaggio realmente esistito, in questo caso la pittrice Margaret Keane. Non è la prima volta che Tim si cimenta con questa tipologia di film, infatti ne aveva già realizzato uno nel 1994, basato sulla vita e sulle opere cinematografiche di quello che è stato definito "il peggior regista di tutti i tempi": Ed Wood. Già dall'inizio del film è chiaro e limpido che c'è poco di burtoniano, anche perché la sceneggiatura non è opera sua ma è stata scritta da Scott Alexander e Larry Karaszewski, gli stessi di Ed Wood. La fotografia è molto luminosa, c'è una sovrabbondanza di colori caldi e vividi in contrapposizione agli scenari tipicamente dark, anche se ci sono rimandi alle sue pellicole precedenti. All'inizio, per esempio, il campo lungo della strada in cui abita Margaret prima di fuggire dal primo marito, con le villette a schiera in perfetto stile da sobborgo americano mi ha fatto pensare a Edward Mani di Forbice per l'ambientazione molto simile. Anche se si tratta di un film basato su fatti realmente accaduti, non mancano qua e là sprazzi di momenti surreali e onirici come quando Margaret, che si trova al supermercato, trova esposte delle copie dei suoi dipinti e presa da un momento di confusione le sembra di vedere attorno a lei solo persone dagli occhi enormi, proprio come le bambine che ritrae. Il regista si avvale ancora una volta del compositore Danny Elfman per realizzare la colonna sonora che dà quel leggero alone di atmosfera fiabesca che contrasta con la natura realistica dei fatti che vengono narrati. Gli interpreti magistrali, a partire da Amy Adams che impersona una Margaret buona, gentile, decisamente ingenuotta e naive ma che dimostra di essere dotata di una grande forza interiore, che la porta prima a fuggire dalla sua vecchia vita con Frank, da sola e con una figlia da mantenere e poi a ribellarsi alla dittatura imposta da Walter. Un personaggio che probabilmente sarà apprezzato dalle femministe convinte perché incontra il peggior uomo del mondo, che la ama anche in un primo momento e la declassa successivamente a macchina sforna soldi, riuscendo alla fine a cavarsi fuori da sola da questa situazione opprimente e ad ottenere la propria rivincita. Christoph Waltz altrettanto bravo nel ruolo di Walter e nell'essere riuscito a tratteggiarne straordinariamente la doppia personalità di uomo prima affabile e carismatico ma che si rivela essere ambizioso e vanaglorioso, che ha a cuore solo i propri interessi e che non esiterebbe a uccidere la propria moglie se i suoi piani fossero ostacolati, infatti il film segue la parabola discendente della sua sanità mentale sino al finale tragicomico (più comico che tragi). Onestamente, ero un po' scettico riguardo a Big Eyes perché devo confessarvi che quando ho visto Ed Wood per la prima(ed unica)volta, mi sono addormentato e mi sono risvegliato a fine film. Era stata come la triste conferma che il mio adorato Tim non era capace di muoversi in generi cinematografici totalmente diversi dal suo stampo e quindi non avevo grandi aspettative.Alla fine sono rimasto piacevolmente sorpreso e a mio parere è un ottimo film e non perché sono di parte, ma perché Burton ha finalmente dimostrato di poter tranquillamente fare altro rispetto alla propria tradizione personale fatta di atmosfere malinconiche, popolata da scheletri, mostriciattoli, marziani e cavalieri mozza teste e soprattutto ricorrendo a nuovi volti del grande cinema hollywoodiano e mettendo da parte i sodalizi con i suoi cosiddetti "attori feticcio" come appunto Jhonny Depp. Vi lascio con una canzone scritta appositamente per il film e cantata da Lana Del Rey. Indovinate un po' il titolo? Buon ascolto e buona visione!
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