Ultimamente andare al cinema è una vera impresa eroica. Il tempo libero scarseggia e la sala cinematografica della mia città è davvero povera di proposte, motivo per il quale mi tocca, spostarmi verso il capoluogo. Capirete che, nona vendo ancora la patente, la questione non è così semplice.
In un modo o nell'altro, però, sono riuscito a godermi qualche pellicola dell'ultimo periodo, e mi piacerebbe condividere le mie impressioni con voi: come sempre, però, quando apro certe parentesi cinefile, ci tengo a specificare che non si tratta tanto di vere e proprie recensioni quanto di blabbericci concentrati (non sempre) e poco pretenziosi su qualcosa che mi piace parecchio.
Vita di Pi - La prima pellicola
di cui voglio parlarvi è sia il film migliore dell'intera carrellata, sia uno dei film più belli che mi sia mai capitato di vedere. Quando è stato reso noto il trailer di Vita di Pi ero davvero su di giri perchè, pur non avendo letto il romanzo, mi sembrava già di percepire la bellezza colossale che vi era dietro. Una volta uscito dalla sala cinematografica ho capito di essermi sbagliato: Vita di Pi non è solo bello, è spettacolare, allucinante, meraviglioso e un sacco di altri aggettivi grandiosi messi insieme. Avete mai visto Big Fish? Siete rimasti incantati dalle storie di Edward Bloom, con il loro sfumato confine tra reale ed irreale? Ecco, la formula di questo film è più o meno la stessa, ovvero il racconto di una vita fuori dall'ordinario, che, come nel suddetto film di Tim Burton, si riversa sullo spettatore con una perfetta, incantevole e vivace armonia. Quella che ci viene narrata è, appunto, la storia di Pi, un ragazzo profondamente buono e con un modo di rapportarsi alla spiritualità davvero particolare in quanto sceglie di non seguire una sola religione, ma ben tre contemporaneamente: induismo, cristianesimo ed islamismo. Pi, sopravvissuto ad un disastroso naufragio in cui ha perso l'intera famiglia, si ritroverà a dividere una scialuppa di salvataggio con Richard Parker, una maestosa tigre del Bengala. Raccontare una storia che faccia credere in Dio, è questo l'intento dichiarato del film, che configura il viaggio del protagonista come un continuo tendere verso l'assoluto, esplorando, allo stesso tempo, l'interiorità umana e la sua oscurità interiore, il suo eterno conflitto tra purezza e necessario istinto animale. Ang Lee, regista dell'opera, grazie ad un'incredibile uso delle nuove tecnologie, riesce a dar vita ad un terzo fondamentale personaggi, ovvero la Natura, in particolare l'acqua e il cielo, che si fondono in immensi ed ipnotici scenari, ripieni di vita e d'amore. Per questo motivo è un film che va visto in 3D - o perlomeno in BluRay -, affinché si possa godere appieno dell'incredibile lavoro che vi è dietro ad ogni singolo frame, ad ogni singolo particolare, che sia esso animale, fiore o impercettibile incresparsi d'acqua. E per una volta la locandina ha ragione: dal punto di vista grafico è davvero il nuovo Avatar, mentre da quello narrativo supera di gran lunga l'opera di James Cameron. Perchè? Perchè quella di Pi non è solo una fiaba molto curata e dalla morale quasi scontata. Assolutamente no. Ci troviamo dinanzi ad una storia allegorica dai diversi livelli tematici e interpretativi, una storia che sa di filosofia, e che si muove agilmente tra etica, religione e metafisica. Ogni parola del protagonista, ogni peripezia che si trova ad affrontare cela un significato profondo e vibrante. Geniale è, invece, il finale, che mette in discussione tutto ciò che si è visto per ben due ore, mettendo lo spettatore dinanzi ad una scelta. Una scelta che, come promesso, è la fede stessa.Frankenweenie - Mi sembra giusto accostare a Vita di Pi qualcosa di ugualmente degno, quindi parliamo di Frankenweenie, l'ultimo capolavoro dell'animazione made in Tim Burton. C'è qualche aggettivo estremamente positivo che io non abbia già utilizzato per le opere di quest'uomo? Ormai parlare di lui mi mette in serie difficoltà in quanto a originalità, per cui non tenterò nemmeno di evitare la ripetizione, lanciandomi nell'ennesima sviolinata di profonda ammirazione per il celebre regista californiano. Frankenweenie è tratto dall'omonimo cortometraggio sviluppato da Burton per la Disney anni e anni or sono, ancor prima del suo primo lungometraggio Pee-wee's Big Adventure. Il cortometraggio ricevette già allora una nomination agli Oscar, ma venne censurato dalla stessa Disney per gli spettatori al di sotto dei quattordici anni e, considerando la data d'uscita del corto, 1984, non è difficile immaginarne il perchè. Ora, quasi trent'anni dopo, con un immensa esperienza lavorativa, opere cinematografiche conquistatrici di botteghino e critica, un sacco di soldi in più e qualche buco nell'acqua alle spalle, Burton sfancula l'amata coppia Depp-Carter e torna, letteralmente, alle origini, riprendendo in mano il suddetto Frankenweenie e dando vita ad un film che è la summa di una carriera d'artista e che ci ricorda perfettamente perchè lo amiamo così tanto. Non solo sono, difatti, appaiono subito lampanti i numerosi riferimenti fatti sia ai classici del cinema horror - non solo l'omaggiato Frankenstein, bensì anche miti come Dracula, Godzilla e Il mostro della laguna nera - ma ancor più chiaro è l'autocitazionismo e il forte taglio personale che il regista ha voluto dare all'intera pellicola, a partire dall'ambientazione, la classica, bigotta cittadina di provincia americana che già faceva da sfondo a capolavori come Big Fish e Edward mani di forbice e che richiama subito la stessa Burbank, città californiana dove Burton è nato e cresciuto e che trovava eccessivamente mediocre e normale per la sua mente già da allora folle e creativa. Lo stesso Victor è un palese riflesso del giovane Tim: un bambino con quasi nessun amico, un diverso non per partcolari difetti fisici come accadeva per Edward ma per la sua innata propensione alla solitudine, che utilizza per coltivare la sua passione per il cinema - ma và? - e la scienza. Anche qui come in altri suoi film, non ci viene dato un background temporale in cui ambientare le vicende, ma i vestiti, le acconciature e il suddetto riferimento ai natali di Burton danno per buoni gli anni '50. Numerosi sono i riferimenti alla cinematografia del regista: Victor, ad esempio, è una versione più infantile dell'omonimo protagonista de La sposa cadavere, così come il personaggio di Elsa è un evidente omaggio alla Lydia di Beetlejuice, mentre il professore di scienze è modellato sui connotati di Vincent Price, attore statunitense e idolo di Tim. In sostanza Frankenweenie si configura come la classica e dolce favola gotica in perfetto stile burtoniano, in cui predominante è la riflessione sulla tematica del diverso, che collega come un filo rosso, l'intero compendium del regista, ma che qui si arricchisce di riflessioni bio-etiche importanti e coraggiose, visto il pubblico a cui è rivolta la pellicola. Importante, ad esempio, è una frase del suddetto professore di scienze, che spiega a Victor come la scienza sia, di per sé, uno strumento neutrale e che sta all'uomo scegliere se direzionarlo verso uno scopo giusto o meno. Una grande nota di merito va, ovviamente e come sempre, a quelle che sono le vere creature di Burton, ovvero tutti i personaggi che ruotano attorno alle vicende di Victor e del suo cane, creaturine bizzarre, macchiette irresistibili, stravaganti, comiche e intrise della geniale follia che, ormai ne sono convinto, avvolge i sogni - o incubi? - di Burton, il quale, grazie a queste perle della cinematografia contemporanea, riesce a darcene un felice assaggio. Una nota di demerito va invece al finale. Non solo l'ho trovato affrettato, inadatto e poco incisivo, ma mi è sembrato che il solito happy ending disneyano stonasse con la stessa morale del film. Mi spiego meglio: pensavo che, visti i danni che il suo esperimento causa in città, Victor maturasse e capisse finalmente che la morte è necessaria e come tale va accettata, anche dalla scienza. Invece no! Il ragazzo continua imperterrito nel suo intento con un finale che, nel suo eccessivo buonismo, lancia un messaggio, a mio parere, sbagliato e fuorviante.Lincoln - Arriviamo alla nota dolente. Sono talmente tanto mirato nella scelta dei film da vedere al cinema che trovarmi dinanzi ad una pellicola non gradita mi mette abbastanza in difficoltà. Specialmente quando si tratta di un film così atteso, così acclamato da pubblico e critica e con un tale regista alle spalle, Steven Spielberg. Credo sia di uno di quei casi in cui si corra addirittura il rischio di sentirsi in dovere di parlarne bene per la paura di mancare del rispetto dovuto ad una pellicola con un soggetto (e un budget, aggiungerei) tanto importante. Lincoln è un film oggettivamente perfetto: un copione brillante, una fotografia perfetta, un cast capace, musiche efficienti ed una regia impeccabile. Da un punto di vista puramente tecnico non gli si può recriminare assolutamente nulla.Eppure, mentre ero in sala, metà del cospicuo pubblico guardava l'ora sul cellulare e l'altra metà dormiva beatamente. Io rientravo nella prima categoria. Perchè? Perchè è un documentario piazzato sugli schermi cinematografici. Un documentario impeccabile, ma pur sempre un documentario privo di qualsivoglia tentativo di instaurare un rapporto con lo spettatore, che viene bellamente mandato a quel paese per creare una pellicola che accarezzi il tipico orgoglio del popolo americano per la propria breve ma celebratissima storia. La recitazione di Day Lewis è impeccabile, ma non viene fatto nulla per diminuire il divario tra il pubblico e un protagonista eccessivamente idealizzato, quasi ricoperto da un'aura divina. Le due ore del film si perdono elusivamente in dialoghi politici così che l'importanza del Tredicesimo emendamento e l'attualissimo ritratto di una politica da sempre fatta di corruzione e compromessi machiavellici passano quasi in secondo piano rispetto alla noia e alla freddezza dell'intera pellicola.
- Il grande e potente Oz: Su questo spero di non dilungarmi troppo. Abbiamo visto e sentito parlare di questo film ovunque. Il grande e potente Oz nasce evidentemente con l'intento di essere un kolossal che, come il precedente Alice in wonderland, sappia attirare in sala un vasto numero di spettatori, puntando principalmente sui giovanissimi spettatori e i loro genitori. Al contrario del criticatissimo Alice in Wondeland, però, Il grande e potente Oz non si sforza di essere più di ciò che sembra, e chiunque si accinga a vederlo, specialmente se non rientra più da tempo nel target a cui la pellicola è destinata, deve partire col presupposto che è solo una fiaba e in quanto tale presenta tratti a volte un po' troppo semplicistici e qualche ingenuità nella sceneggiatura su cui sarebbe sciocco soffermarsi. E' un po' come Cappuccetto Rosso che non riconosce il lupo travestito da sua nonna: se ci si pensa sembra una stupidaggine, ma in quanto fiaba va accettata per il suo intento morale. Non si raggiunge, quindi, la profondità che tanti altri prodotti Disney toccano ampiamente, ma il tutto è ben ovviato da una storia piacevole, godibilissima e incantevole dal punto di vista grafico e da un cast di volti parecchio noti, tra cui James Franco, il protagonista, risulta essere forse il più impacciato.
- La madre: Su questo film nutrivo grandi aspettative, probabilmente dovute anche all'errore di chi me l'ha spacciato come il nuovo film di Del Toro. Sia chiaro: questo film è prodotto da Del Toro, ma il regista è un esordiente di nome Andres Muschietti, che fa il suo debutto in sala con un horror davvero interessante. Punti di forza sono una storia originale, una buona regia e delle inquadrature che fanno accapponare la pelle, senza ricorrere a scene di particolare violenza, e un salto di genere inaspettato. Classificare La madre esclusivamente nel genere horror sarebbe, infatti, fuorviante, poiché il film presenta molte sfumature che lo rendono più catalogabile come una favola nera, che inizia con la voglia di spaventare il pubblico e procede pian piano con un'inaspettata capacità di emozionarlo grazie a poche ma ben dosate scene di sentimento e un finale da lacrimoni agli occhi. Questo mix di generi e unione di forze tra gotico e malinconico mi ha ricordato molto lo stile dell'amato Il labirinto del fauno e, di conseguenza, spiegato il motivo del nome di Del Toro ben visibile sulla locandina. A riprova di ciò, la stessa struttura del mostro, la grottesca ed evanescente madre, riprende chiaramente il suddetto fauno anche nei suoni che emette. Nonostante mia sia piaciuto proprio per questi motivi, il film non è esente da difetti. La tensione viene spesso a cadere a causa di un uso improprio dei clichè del genere, che si mescolano ad alcune fastidiose ingenuità di trama e ad un uso eccessivo dello spavento facile, ovvero la brusca e improvvisa apparizione del mostro in primo piano, tecnica che va bene se usata una o due volta, ma che inizia a far perdere credibilità alla pellicola già alla terza ripresa. D'altro canto, però, ho trovato molto valido l'intero cast, in particolare Jessica Chastain, la protagonista, e Isabel Nélisse, la sorellina più piccola, che fa davvero un ottimo lavoro specialmente con quell'inquietante camminata a quattro zampe, che insinua sin da subito una forte sensazione di disagio nello spettatore. Nel complesso, quindi, si tratta di un bel film, ma talvolta si nota il tratto di un regista bravo ma ancora alle prime armi.