Ora: io ho un account, o canale che dir si voglia, di Twitter. Non mi interessa più di tanto, ma non lo chiudo per pigrizia, per incompetenza e perché porta pure qualcuno su Das Kabarett. Però, anche se sono in grado di esprimermi in 140 battute, nonostante la mia verbosità, non ho la connessione sul cellulare e udite udite, non ritengo di dire cose interessanti ogni tre secondi e con simile capacità di fulminea sintesi. Insomma, se a qualcosa di non spregevole arrivo, ci arrivo maturandolo poco a poco, poco alla volta, con una discreta (se volete, anche piuttosto paranoica) introspezione.
Se c'è una cosa a cui Twitter non lascia spazio è proprio il valore della parola, ovvero del logos. Lettere, sillabe e vocaboli variamente (e non sempre correttamente) declinati o coniugati affollano la rete, impedendo sia il silenzio, sia il significato. Oltre a richiedere una continua attenzione, che io trovo stressante e per nulla formativa, Twitter non dà possibilità di scambio reale e ordinato tra le persone: si lanciano messaggi, si lanciano risposte, si corra ai ripari.
Certo, è democratico. Giacché, chiunque può scrivere qualcosa, in quanto nessuno pretende un argomento in 140 battute, come se il perché e il per come e il per quando dell'atto locutorio - per abbandonare le alte sfere della filosofia e abbordare quelle più ecumeniche della linguistica - seguano su richiesta e non precedano invece lo spalancarsi delle chiassose fauci. Parlo io, che non taccio mai. Lo so, lo so. Ma parlo fino in fondo, mi dico fino in fondo.
E cosa ci sarebbe da osservare su Twitter, di grazia? Parole, segni grafici, pixel oscurati, un rimando continuo all'universale, all'ingovernabile massa tra cui ho già scelto ciò che è mio e ciò che non lo è. Se c'è una cosa di cui io non ho bisogno - e lo dico per confessare un difetto o una grave disarmonia, non per vanto - è questo continuo rimando a ciò che potrei essere, a ciò che potrei fare, a ciò che potrei avere. Mi tengo fermo a ciò che sono, a ciò che riconosco benissimo. Io non mi inseguo, perché non sono in fuga né da me stesso né verso altri che non sia io.