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cinque a uno

Creato il 16 febbraio 2013 da Plus1gmt

Trovo che uno dei momenti più emozionanti dal punto di vista umano e sociologico durante le mie esperienze di shopping o acquisti in genere sia quel lasso di tempo circoscritto in cui porgo la carta per l’acquisto elettronico, l’inserviente la inserisce nell’apposito slot del dispositivo POS di sua competenza e mi si invita a procedere con l’inserimento del pin, che è poi il fine ultimo per cui esiste il commercio, l’economia, il marketing, la pubblicità e tutto ciò che concerne lo spostamento di beni da una proprietà a un’altra. Ciò che consente loro di portare a casa un guadagno e a noi di trovare una nuova voce di uscita dell’estratto conto. Mi spiego meglio.

Avete mai notato cosa fanno commessi, negozianti e cassieri dopo che vi hanno porto (è “porto” i participio passato di porgere, vero?) il trabiccolo con la tastierina numerica per finalizzare l’acquisto? Perché quello è un momento di massima privacy, come quando siete in bagno e dovete scaricare l’urgenza del momento e bisogna far di tutto per tenere la porta chiusa o, se siete maschietti come me e usate quegli incivili raccoglitori a muro di liquidi, è bene stare con gli occhi rivolti davanti o o al massimo osservare il proprio coso perché guai a guardarsi di lato. Come quando siete nella cabina elettorale a mettere la croce sul Partito Democratico (vero che la metterete?) e nessuno deve essere lì a fianco ad osservarvi perché è tutto segreto ed è una cosa che non ho mai capito. Il fatto che la politica sia quasi più tabù di cosa fai e con chi lo fai sotto le lenzuola è uno dei drammi del nostro secolo. Insomma, tutte quelle cose che per una sorta di ipocrisia mascherata da rispetto dell’intimità altrui impongono ai più di voltarsi dall’altra parte. L’istante in cui le dita digitano le cinque cifre del numero magico che apre il canale attraverso il quale, secondo la teoria dei vasi comunicanti, l’erogazione di liquidi prosciuga il nostro conto corrente e ingrossa il portafogli del venditore più o meno al dettaglio.

Ed è lì che l’inserviente rivolge lo sguardo altrove. Finge di leggere l’ultimo numero della house organ della Grande Distribuzione da cui è stipendiato. I commessi dei negozietti osservano fintamente interessati la gente oltre le vetrine. I benzinai simulano un check sul monitor della videosorveglianza delle pompe. I farmacisti si sistemano il camice e giochicchiano con la vostra Carta Regionale dei Servizi. Nemmeno se, spiando il codice, fosse possibile per loro a transazione eseguita comprarsi la macchina nuova con la vostra tessera magnetica o chissà che altro e restare impuniti. Io rispetto questo loro desiderio di mostrarsi rispettosi dei miei dati personali e li faccio contenti. Ho la mia strategia mnemonica per snocciolare il numero senza indugi e lo compongo forte della mia arte di stare sul palco, dietro alle tastiere, in piedi come quello dei Subsonica, con una mano sola. Tanta tecnica unita a una presenza carismatica. Eseguo il mio assolo e a quel punto la speranza che tutto fili liscio assale tutti. Il commerciante, l’acquirente e la coda dietro. Tutto a posto, finisce quasi sempre così. Io mi allontano lieto di questo siparietto che si consuma ogni volta che devo comprare qualcosa e pagarlo non in contanti. Probabilmente lo insegnano a scuola come agli Acto’sr Studio, perché non è semplice coprire l’ansia da prestazione di terzi facendo finta di nulla.



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