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Cinque anni di solutudine. Intervista a Roberto Balzani

Creato il 18 ottobre 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

“L’esperienza da sindaco? Mi ha indurito. Sono diventato più intransigente. Ho visto tante schifezze, da vicino e da lontano, da poter dire che quella dell’amministratore eletto è una missione pericolosa, ma necessaria. Ho perso molto della mitezza che mi ha contraddistinto nell’ altra vita”.

A parlare così è Roberto Balzani, nato nel ’61 nella città che governa: Forlì. Docente di Storia contemporanea nella Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna, di cui è stato preside tra il 2008 e il 2009, è da tre anni sindaco della cittadina in Emilia Romagna. 

Cinque anni di solutudine. Intervista a Roberto Balzani
Alcuni mesi fa il prof ha scritto un libro, intitolato “Cinque anni di solitudine – Memorie inutili di un sindaco (il Mulino)”, in cui racconta quanto sia stato faticoso guardare da dentro, azionandola, quella macchina del governo locale, che ha conosciuto da ricercatore.

Non è stato facile, Balzani lo dice tante volte.Ha dovuto sacrificare parecchio la sua famiglia, che non l’ha mai abbandonato e ha sempre cercato di capire, mentre intorno c’era irresponsabilità.

Il libro, poco più di 120 pagine, è una requisitoria contro la politica attuale, ma anche un invito a costruire un nuovo civismo. 

“Dissolta ogni visione ampia – fa capire il sindaco – il governo dei comuni finisce nel piccolo cabotaggio, in iniziative che hanno l’orizzonte limitato della legislatura o in inutili “eccellenze” a scopo di consenso, in iter burocratici fini a se stessi”.  Ma non tutto è perso. Si può ripartire. Anzi, si deve. E lui, per un altro mandato, ha dichiarato che ci sarà.

Ogni tanto sindaco torna indietro con la memoria. Ricordando il giorno in cui vinse il ballottaggio, scrive: “Ero molto curioso di vedere come me la sarei cavata. Mi fecero fare la foto con la fascia tricolore. Avevo un bel vestito chiaro ed ero orgoglioso come uno scolaretto il primo giorno di scuola. A distanza posso senz’altro confermare che esibivo una chiara espressione da pataca”Prova tenerezza per quello che era e oggi forse non è più?

 “Pataca” in romagnolo significa fessacchiotto. Mi rivedo con la faccia stralunata e un’idea sostanzialmente nebulosa di ciò che mi aspettava. Ho cercato d’imparare il più in fretta possibile, commettendo errori, com’è ovvio. Oggi provo tenerezza per quello che ero, soprattutto perché avevo un’immagine eroica e “innocente” dell’amministrazione. L’esperienza mi ha tolto molte illusioni, ma non la voglia di considerare l’amministrazione locale un contropotere civico, dal basso.

Restiamo al giorno del ballottaggio. L’ha vinto perché è un tecnico? Oggi sarebbe ancora così?

Credo di aver vinto perché, semplicemente, la gente non ne poteva più di quelli di prima. Non so se la discontinuità che ho rappresentato sia stata apprezzata con precisione dai miei concittadini: una parte l’ha compresa, un’altra non so. E’ difficile spiegare in modo semplice cose molto complesse.

Cinque anni di solutudine. Intervista a Roberto Balzani
Cosa ricorda del suo primo giorno da sindaco e come è cambiata la sua vita da quel momento?

La mia vita è cambiata totalmente, perché lo spazio privato è scomparso. Quello che cerco di difendere, per la famiglia e anche per la riflessione, è totalmente residuale. E non va bene. Del primo giorno da sindaco ricordo la scrivania vuota, senza neanche un computer. Non si usava, mi dissero le segretarie

Quali e quanti sono stati gli sforzi per “imparare”? 

Premesso che è mia intenzione tornare alla mia vita di professore universitario – ho dichiarato, e lo sottoscrivo, che alla politica attiva non dedicherò più di 10 anni complessivi della mia esistenza – credo che porterò con me una incredibile quantità di informazioni e di relazioni umane, che mi hanno svelato parti a me ignote della società italiana. Utilissime, penso, anche per un prof. Ribadisco, sacrificando molto i miei. Devo dire che ho sempre avuto moglie e figli con me. Si sono battuti come me in questa partita. Senza il loro appoggio – nonostante i momenti critici che pure ci sono – sarebbe stato impossibile tener duro in questi anni.

Da quando è diventato sindaco e ha lasciato l’Università giustifica un po’ di più i compromessi? Ha ancora una visione un po’ manichea, da un lato i tecnici buoni, dall’altro, i politici di professione “cattivi”?

Direi che sono diventato più intransigente, invece. Ho visto tante schifezze, da vicino e da lontano, da spingermi a considerare quella dell’amministratore eletto una missione pericolosa, ma necessaria. La realtà della vita politica, d’altro canto, non è mai bianca o nera: è sempre grigia. Per questo, avere solidi principi è importante.

Cosa non sopporta affatto dei politici di professione?

Il fatto che vogliono giustificare in termini di bene comune la loro carriera personale.

Cosa invidia?

La sicurezza con cui prendono le decisioni.

Cosa Forlì ha guadagnato da quando ha un sindaco tecnico?

Penso la trasparenza della politica e un rigore sul piano dei conti, dagli investimenti alla spesa corrente. E poi il trasferimento dei processi decisionali dai “caminetti” dei partiti alla Giunta e al Consiglio comunale.

Cinque anni di solutudine. Intervista a Roberto Balzani
Quanto è faticoso fare il sindaco in tempi di spending review? Ieri voi sindaci l’avete detto più volte al  Presidente Monti. Non è così?

E’ faticoso, perché siamo stati eletti come novelli Robin Hood, e ci ritroviamo a fare gli esattori come lo Sceriffo di Nottingham.

Provi ad immaginare di ritoccare la legge vigente. Assegni nuovi poteri ai sindaci e ne deleghi altri inutili. 

Credo che una buona legge sugli enti locali dovrebbe stabilire rigorosi parametri di spesa e anche controlli, lasciando libera l’amministrazione di decidere come e dove impiegare le risorse. Oggi, attraverso la finanza, si realizza in realtà un nuovo centralismo statale. D’altra parte, a causa dell’insipienza e della malafede di molti eletti, anche gli amministratori corretti si trovano sottoposti a queste regole draconiane.

Cinque anni di solitudine. Non sono cento, ma, da quanto dice, i tre passati sono stati pesanti. Prevede che si sentirà solo anche in futuro? E poi perché si sente solo?

La solitudine è plurima: quella del decisore in ultima istanza, quella del sindaco “atipico” in mezzo a sindaci “conformisti”, quella del sindaco in generale rispetto alla riorganizzazione dello Stato, quella del primo cittadino chiamato a interpretare una comunità spesso magmatica, che non riesce a dirti dove vuole essere portata. E, oltre a ciò, quella di un uomo che si trova nel bel mezzo di una “rivoluzione” grandiosa: la trasformazione, forse la fine, dello Stato nazionale, che abbiamo conosciuto negli ultimi 150 anni.

 L’aspetto più gratificante di questa “avventura”?

La riconoscenza di cittadini che non conosci quando compi atti per il bene di tutti.

Quello più avvilente?

L’incontro con i lobbisti.

Un messaggio ai suoi concittadini

D’impegnarsi per capire il nostro presente, al di là dei luoghi comuni della tv e delle chiacchiere stomachevoli dei partiti e della politica raccontata dai media “tradizionali”. Il potere vero e gli interessi ci sono, ma spesso sono invisibili.

 Progetti per il futuro?

Sicuramente, nel mio futuro, c’è il ritorno alla ricerca e all’insegnamento accademici. Entro 10 anni dal 2009.

Saranno i tecnici a salvare l’Italia?

L’Italia possono salvarla solo gli Italiani, nel senso che il successo di politiche di riforma, anche dura, dipende dal consenso e dalla consapevolezza collettivi. Se mancano, non c’è niente da fare. Neanche coi tecnici.

Da dove ripartire?

C’è bisogno di andare oltre e di rischiare, utilizzando l’unica modalità possibile, in un mare tanto periglioso e insidioso: la verità.

Quale?

Dire che gli enti locali, così come sono congegnati non potranno reggere a  lungo e che quindi è il momento ora, adesso, di riformarli dal basso, finché  abbiamo ancora risorse sufficienti. Poi bisogna sfrondare il feudalesimo politico di municipio e aggredire direttamente il tema della sostenibilità  territoriale dei nostri servizi e delle nostre strutture a tutti i livelli,  compiendo quella delicata analisi sociale e ambientale, che troppo spesso ci
manca o è parziale e raffazzonata.

Questo è quello che manda a dire ai sindaci politici di professione?

Sono loro i più esperti, i più scafati, i più brillanti. Credo che questi colleghi avrebbero enormi risorse potenziali, se solo riuscissero a rompere  la protezione di cristallo che, per abitudine e per formazione, li ha avvezzati a ritenere l’amministrazione un grande meccanismo d’ingranaggi  che, alla fine, produce infallibilmente il suono desiderato, senza  ipotizzare variazioni, senza calcolare possibili alterazioni. E questo perché sono guidati dalla  mano visibile della leadership del partito.

Si sente un tipo tosto?

Questa esperienza mi ha indurito molto. Ho perso molto della mitezza che mi ha contraddistinto nell’ altra vita”. Però, essere tosti è necessario per  sopravvivere in questa giungla, in questa “guerra continua” che è la  politica a tutti i livelli, soprattutto in questi momenti. Ed io ho intenzione di battermi fino alla fine di questa esperienza. Senza deflettere dal patto stretto con gli elettori e con la mia coscienza.

Ultima curiosità: qualche giorno fa Forlì è stata coinvolta in una bufera. Alludo alla polemica sull’aeroporto, che si vorrebbe intitolare a Mussolini. Come andrà a finire?

Massimo Balzani, direttore di Unindustria, che  ha avuto l’idea, intanto non è mio parente. L’idea di intitolare l’aeroporto di Forlì a Mussolini, che pure lo fece costruire negli anni Trenta, è semplicemente una colossale sciocchezza. Credo sia stata immaginata come una provocazione. Una provocazione infelice, che ha riportato d’un colpo la Romagna alle caricature grottesche del periodo post-bellico. Un boomerang, insomma.

                                                                                                                         Cinzia Ficco

 


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