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Cinque cose da fare a Berlino

Creato il 27 maggio 2015 da Patrickc

Ritorno nella capitale tedesca per quattro, splendidi, giorni (li riassumo per punti).

Ci ho messo un bel po’ a decidermi a scrivere di Berlino. Troppa gente che conosco ci è andata a vivere o ci ha vissuto per un periodo, io invece ho lasciato passare troppo tempo prima di tornarci, mi sembrava di peccare di presunzione, del tipo: “Chi sei tu per scriverne?”. Poi mi sono convinto a scrivere la mia impressione inevitabilmente superficiale: provo a raccontare cinque aspetti che mi sono rimasti di questi quattro giorni di febbraio, belli e intensi. E nemmeno così freddi, grazie a un pizzico di fortuna (“non vedevamo il sole da mesi”, abbiamo sentito dire”).

1. L’illusione di vivere a Berlino

Io non ho mai vissuto a Berlino, ma mi sarebbe piaciuto, sento di essermi perso qualcosa. E forse anche per questo, per illuderci di abitarci per qualche giorno, abbiamo preso un monolocale Airbnb a Prenzlauer berg, vicino alla fermata Schoenhauser allee della S-Bahn.  Naturalmente è un’illusione. Gli affitti qui sono sempre stati bassi, ma da studente o emigrato difficilmente mi sarei potuto permettere un appartamento così grazioso. Allo stesso tempo è stato bello avere una casa a Berlino per qualche giorno: andare a prendere pane, caffè e brioche dal fornaio di quartiere, fare colazione al grazioso Blumen cafè dietro l’angolo (che qualcuno potrebbe definire hipster, che poi è una parola che viene ormai usata per tutto, e invece è solo berlinese): metà fioraio, metà bar.

La S-Bahn a Prenzlauer-Berg (foto di Patrick Colgan, 2015)

La S-Bahn a Prenzlauer-Berg (foto di Patrick Colgan, 2015)

Il Blumen cafè (foto di Patrick Colgan, 2015)

Il Blumen cafè (foto di Patrick Colgan, 2015)

E poi saremmo potuti anche andare in un locale a caso o scegliere quelli della guida. E invece abbiamo scelto di farlo in compagnia, con i bravissimi  ragazzi di Alternative Berlin Tours (scoperti grazie a Farah), che ogni sera organizzano un pub crawl, vale a dire una serata itinerante di locale in locale, seguendo itinerari sicuramente non turistici. Un modo divertente di passare la serata a zonzo fra i quartieri, facendo qualche chiacchiera con nuove persone (che si sono andate diradando, dopo ogni locale c’era qualcuno che alzava bandiera bianca) e scoprendo posti che mai avremmo visitato altrimenti: bar, birrerie, cabaret, ping pong bar: il rovescio della medaglia è che ho avuto l’impressione che non fossimo benvenuti ovunque (nel ping pong bar, intendo).

Rotto il ghiaccio, la sera successiva è stata anche più divertente, scovando un affollatissimo ‘sofa bar’, Das Wohnzimmer: era sabato sera, ci siamo accaparrati un pezzo di divano e bevuto due cocktail mescolandoci con i locali. Per un’ora mi sono illuso che questa fosse la mia vita (ma c’era decisamente troppo fumo di sigaretta, in questa vita).

Das Wohnzimmer

Tende, abat-jour e divani in stile anni’70 a Das Wohnzimmer (foto di Patrick Colgan, 2015

2. Berlino in trasformazione

Ho lasciato Berlino che era un cantiere, quindici anni fa. C’erano gru ovunque. E l’ho trovata che è ancora un cantiere, ma allo stesso tempo si è trasformata e non so se i cambiamenti mi piacciono tutti. Potsdamer Platz, per esempio, all’inizio del duemila era solo un grattacielo con lavori tutt’intorno. Quello che è divenuta mi mette un po’ a disagio, anche se non lascia indifferenti. Ci sono grattacieli, luci, gente e una grande freddezza: forse è la parte più fredda e disumana di Berlino. Però la vedi da lontano, la notte, e non sembra così minacciosa. C’è l’incredibile tendone del Sony center che sembra un incongruo monte Fuji (effetto voluto) che spunta fra i tetti di Berlino e ti aspetti di vedere un’auto volante che ti sfreccia davanti, come in un film di fantascienza.

A Potsdamer platz (foto di Patrick Colgan, 2015)

A Potsdamer platz (foto di Patrick Colgan, 2015)

E mentre la trasformazione di Potsdamer Platz è finita ora tocca ad altri luoghi: crescono i palazzi e le sedi delle multinazionali lungo la Sprea, a Berlino est i quartieri vengono ‘ripuliti’ di pari passo con le facciate dei palazzi e i prezzi salgono. Anche la ‘mitica’ Kreuzberg dove si sono mescolati per decenni immigrati turchi, studenti e artisti non è indenne: lo street artist Blu ha cancellato proprio nei mesi scorsi una sua grande opera, proprio a Kreuzberg, quartiere che dice di non riconoscere più (Berlino è anche tanta street art).

Berlino,

Berlino, “Questa città è in vendita” (foto di Patrick Colgan, 2015)

Street art a Berlino (foto di Patrick Colgan, 2015)

Street art a Berlino (foto di Patrick Colgan, 2015)

3. La Berlinale

Berlino è cultura, naturalmente. Io amo i festival del cinema e la Berlinale era un vecchio pallino che avevo da anni. Purtroppo, nonostante mi sia messo all’opera con un buon anticipo, comprare on line  i biglietti su internet per i film più ambiti è risultato difficilissimo senza passare le giornate al computer (a Venezia è molto più semplice, per dire): i biglietti vengono messi in vendita sul sito del festival solo due giorni prima delle proiezioni e solo in piccole quantità. La tecnica migliore, ho scoperto, è fare la fila al botteghino di Potsdamer platz, cosa che favorisce di sicuro chi è a Berlino nelle settimane precedenti al Festival. Alla fine sono arrivato con le prenotazioni di due film (uno in concorso) in sale secondarie fatte su internet, mentre mi sarebbe piaciuto fare un salto al Berlinale palast, in sala: invece mi sono dovuto accontentare di vedere Galadriel Cate Blanchett camminare sul Red carpet.

Berlinale Palast a Potsdamer platz

Berlinale Palast a Potsdamer platz (foto di Patrick Colgan, 2015)

Momento di panico quando ci presentiamo all’Akademie der Kunst della Porta di Brandeburgo, come da biglietto, e troviamo il deserto. Una annoiata bigliettaia (che chissà quante volte avrà ripetuto quella frase) ci riferisce che la proiezione era da tutt’altra parte alla lontanissima sede distaccata. Ci siamo infilati in taxi e siamo arrivati in tempo per vedere il logo della Berlinale brillare sullo schermo (emozionante) e poi apprezzare il film Nuclear Nation II, un documentario bello e scioccante sul disastro di Fukushima. Ah, naturalmente è un caso che ci fosse sempre di mezzo il Giappone.

4. La Berlino multietnica

E’ spiazzante fare due passi a Kreuzberg, lungo il fiume, in mezzo al mercato turco che si svolge martedì e venerdì di ogni settimana (dalle 11 alle 18,30). Le vocali chiuse e veloci della lingua turca rimbalzano fra i banchi del mercato. Fra frutta e verdura e banchi che sembrano trasportati dai mercati di Fatih, a Istanbul. E’ banale dirlo, ma per un attimo sembra di essere sul Bosforo, almeno fino a quando non incroci fra i banchi un gruppo di punk pallidi e borchiati mentre addenti uno dei doner kebab più buoni che ricordi.

Kreuzberg (foto di Patrick Colgan, 2015)

Kreuzberg (foto di Patrick Colgan, 2015)

Kreuzberg (foto di Patrick Colgan, 2015)

Kreuzberg (foto di Patrick Colgan, 2015)

Ramones museum berlin

Da fan del gruppo avrei dovuto indagare meglio questo manifesto (foto di Patrick Colgan, 2015)

La sera finiamo a mangiare turco da Hasir che è un ristorante grande, ed è diventato un piccolo impero, ma che è anche frequentatissimo dai locali. Mi faccio prendere la mano dalla nostalgia di sapori turchi e finisco per essere sommerso sotto una valanga di piatti: kofte, kebab, meze (antipasti) assortiti. Accanto a noi Birol Unel (l’attore di ‘La sposa turca’ e ‘Soul kitchen’ fra gli altri) ci osserva con approvazione da una foto scattata forse allo stesso tavolo.

Birol Unel mi guarda da una foto ad Hasir (foto di Patrick Colgan, 2015)

Birol Unel mi guarda da una foto ad Hasir (foto di Patrick Colgan, 2015)

5. La Berlino della storia e dei monumenti

Berlino è, naturalmente, anche la sua storia. E’ un’esperienza la visita del Reichstag e della sua cupola (da prenotare in anticipo), è splendida la Galleria d’arte nazionale antica dove fra l’altro ci sono alcuni dei dipinti più famosi di Arnold Bocklin. E poi è di fortissimo impatto il Memoriale del muro a Bernauer Strasse con pannelli informativi, monumenti. Merita almeno una mattina intera. Ci sono alcuni tratti ancora in piedi del muro e una piccola area mantenuta com’era prima del 1989, con la terra di nessuno e la torretta di guardia. E’ a sua volta circondata da un’alta recinzione, un altro muro, come un paravento: si può sbirciare dalle fessure di questa parete, come facevano i berlinesi un tempo, o dall’alto di un osservatorio. L’esperienza è raggelante, spaventosa: il muro dà la sensazione che se non fosse chiuso da altre recinzioni potrebbe espandersi, replicarsi, ingrandirsi.

Un tratto della East side gallery (foto di Patrick Colgan, 2015)

Un tratto della East side gallery (foto di Patrick Colgan, 2015)

Sicuramente, nonostante anche questa sia una memoria di dolore, è molto più serena la visita della East side gallery, il tratto di muro di 1,3 chilometri nei pressi della stazione Ostbanhof, dove il muro è stato ‘appropriato’ da artisti di tutto il mondo che lo hanno dipinto. Lo hanno trasformato in un’altra cosa. Colorato e ricoperto di messaggi è un monumento alla caduta di questa barriera e appare testimoniare una verità che, qui, appare elementare: i muri non possono durare.

Io e Letizia davanti al muro

Io e Letizia davanti al muro

L’esperienza più coinvolgente, inquietante, toccante, è stata però la visita alla ex prigione della Stasi, la polizia segreta dell’ex Germania Est: Gedenkstätte Berlin-Hohenschönhausen. Ma questo, forse, merita un racconto a parte.


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