Quando atterro a New Orleans è tardi e non vedo l'ora di arrivare in albergo. La temperatura è gradevole, soprattutto dopo tre giorni in North Dakota. Il taxi mi lascia davanti all' International House Hotel dove, una volta arrivata in camera, mi addormento subito.
Il mattino dopo sono pronta per scoprire New Orleans: ho solo un giorno a disposizione, per cui devo sfruttare al massimo il mio tempo.
Mi incammino lungo Chartres Street, diretta verso il Quartiere Francese o Vieux Carré, come lo chiamano qui: è il centro della città, dove ancora oggi è possibile percepire l'impronta lasciata dai francesi, che agli inizi del 1700 colonizzarono Nouvelle Orléans, seguiti poi dagli spagnoli. Le influenze straniere sono visibili nel quartiere, con le sue case dalle balconate di ferro battuto e i cortili interni. Qui si svolge ogni anno il Mardi Gras e la sua parata di carnevale. Lungo queste strade e nei bar viene organizzato il Jazz Fest, l'evento musicale che ha attirato artisti come Louis Armstrong e Duke Ellington. Ma ormai è troppo tardi per il Mardi Gras e troppo presto per il Jazz Fest, per cui posso solo immaginare quello che succede in occasione delle due celebrazioni.
Lasciata Jackson Square alle spalle, attraverso Decatur Street diretta verso quello che, secondo la mia amica Sarah che a New Orleans ha vissuto per due anni, è il miglior locale della città. Il Café du Monde è di fronte a me, con suoi i tavoli lungo il marciapiede e le tende a righe bianche e verdi. Trovo posto a un tavolino traballante e non aspetto il menu per ordinare la colazione. Nonostante sia una meta turistica, il Café du Monde è un'istituzione: sarebbe un sacrilegio non provare il loro café au lait e un beignets. Si tratta del dolce più conosciuto della città: un quadrato di pasta di pane fritta e ricoperta di zucchero a velo. Quando la cameriera arriva con l'ordinazione, subisco la stessa sorte degli altri clienti: al primo morso lo zucchero a velo si alza in una nuvola bianca che si va a depositare sulla mia t-shirt, lasciando delle macchie che mi terrò addosso per il resto della giornata.
Dopo il dolce ho bisogno di camminare. Mi dirigo verso Woldenberg Park, dove passeggio sotto il sole, lungo il Mississippi: qui vedo un'altra delle attrazioni della città: i battelli a vapore che scivolano sul fiume. Ma non sono qui per questo, per cui proseguo oltre Canal Street, la via che divide la parte francese di New Orleans da quella americana. All'angolo tra Girod Street and Magazine Street si trova il Crescent City Farmers Market, il mercato contadino. Qui le bancarelle vendono frutta, verdura e pesce, ed è da una di queste che compro un oyster po'boy, un panino guarnito con lattuga, pomodori, maionese e ostriche impanate e fritte. Si narra che i po'boy venissero serviti all'inizio del Novecento ai poor boys, ai ragazzi poveri, ossia gli autisti di tram che non percepivano lo stipendio da mesi per via di uno sciopero. Il panino dei poveri è ottimo e mi sazia, ma l'uomo dietro la bancarella mi convince a prendere un alligator sandwich. Non ho fame, ma la curiosità è tanta, per cui mi lascio tentare.
Ora la cosa migliore da fare sarebbe tornare in albergo e riposare, ma ho altri progetti. Ho prenotato un taxi, che mi porterà al Ninth Ward, la zona della città maggiormente colpita dall'uragano Katrina nel 2005. Gli argini dei canali, non abbastanza forti da resistere alla potenza dell'acqua, crollarono provocando l'allagamento di case e strade. Il taxista non riesce a nascondere la tristezza mentre mi parla, e io non oso domandare se abbia perso qualcuno durante l'inondazione. Il quartiere è stato ricostruito, ma rimangono degli angoli in cui le case sono tuttora abbandonate: sulle pareti esterne sono ancora visibili le croci disegnate con lo spray a indicare che i soccorritori erano già stati in quell'abitazione. Quando torno in hotel il mio umore non è dei migliori, ma sono soddisfatta di aver imparato qualcosa su un avvenimento che ha cambiato la storia della città.
Il tempo a mia disposizione è quasi scaduto, e c'è ancora una cosa che devo fare: provare il gumbo, uno dei piatti più rappresentativi della Louisiana. Mi è stato detto che bisogna distinguere quello creolo da quello cajun: in sostanza si tratta di una zuppa a base di verdure, e le due versioni si differenziano per l'uso del pomodoro. In realtà, mi sembra di capire che in generale sia la cucina creola che quella cajun derivano dal tentativo di adattare le tradizioni gastronomiche francesi e spagnole a quelle della Louisiana del sud. Quello che importa è il risultato: la crab cake il gumbo di gamberi e granchio che ordino all'Acme Oyster House sono ottimi.
Percorro a piedi i pochi isolati che mi separano dall'albergo, facendomi strada tra i turisti che procedono in direzione opposta, verso i bar del French Quarter.
Informazioni praticheInternational House Hotel - 221 Camp StreetCafè du Monde - 800 Decatur StreetCrescent City Farmers Market - Girod Street and Magazine StreetAcme Oyster House - 724 Iberville StreetLouisianaNew OrleansspecialeUSA