Faber (sì, come le matite, è per questo che Paolo Villaggio gli diede questo soprannome: a De Andrè quelle matite piacevano un sacco) “ci appartiene” ancora oggi, con la sua musica e le sue parole, e vogliamo ricordarlo con cinque dischi. Cinque dischi ovviamente non bastano, non bastano affatto; perciò sceglieremo qualcuna delle sue canzoni più note e anche un paio delle mie preferite, senza scavare troppo nel personale, perché il rovescio della medaglia è questo: la voce liquida del cantautore genovese accarezza l’anima così in profondità che svelare cosa piaccia di più equivale in qualche modo a mettersi a nudo più di quanto si vorrebbe.
1. Canzone dell’amore perduto
Giusto per spiegare meglio cosa intendo quando dico che la voce di De André si lascia bere a grandi sorsi fino a scendere nelle pieghe più nascoste, dove solo i liquidi riescono a penetrare. Provate ad ascoltare la canzone dell’amore perduto senza che - in un punto o in un altro, ognuno ha il suo - non vi si stringa il cuore, fino a diventare piccolo piccolo così, spremendosi - magari - in una lacrima pesante. Se ci riuscite, se riuscite a restare impassibili, siete più cattivi di Carlo Cracco davanti a un soufflé venuto male! O magari non avete ancora amato sul serio. E quindi siete giustificati, ché ancora non siete del tutto consapevoli di avercelo, un cuore. Poi ne riparliamo, se volete.
2. Il pescatore
Da un concerto del 1998, con il figlio Cristiano al violino, ecco una delle mie preferite. Probabilmente è stato quel “la la la lalla la lalà” ad avermi conquistato fin da piccina, e poi il fatto che racconti una storia (e non il solito “Solecuoreamore”), e lo faccia in modo chiaro, senza arrampicarsi su frasi senza senso pur di cercare un ritmo o una rima. Le parole si appoggiano lievi sulla melodia, e sono perfette. Poi – da grande – sono venuta a vivere in una città di mare, e mi sono sorpresa tante volte a sorridere guardando i pescatori e ripensando a quello che s’era assopito all’ombra dell’ultimo sole, e aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.
3. Il testamento di Tito
Mi sentirei blasfema come se violassi tutti i comandamenti in un’azione sola, se aggiungessi parole a questo capolavoro. Ecco, questa sì, è una di quelle canzoni che andrebbero studiate a scuola. E se nelle scuole delle menti giovani che vi stanno a cuore De André non è ancora arrivato, pensateci voi, a casa: il futuro non potrà che giovarne.
4. Crêuza de mä
La lingua di Genova, la lingua del mare, la lingua degli scambi, e dei viaggi senza un ritorno sicuro. Questa è la lingua che Faber decise di utilizzare per l’intero album Crêuza de mä, che dunque diventa d’obbligo citare nella nostra cinquina. Egli stesso definì la lingua di queste canzoni come “la lingua del mare, un esperanto dove le parole hanno il ritmo della voga, del marinaio che tira le reti e spinge sui remi”.
5. Don Raffae’
Ho un rapporto complicato con il caffè (di cui disquisiremo approfonditamente in un post dal titolo “Cinque cose di cui ai lettori non frega un accidenti”), ma il mio rapporto con questa canzone è sempre stato ottimo. Ho sempre trovato buffo il retrogusto sgangherato che scaturisce dal tentativo di cantare in napoletano, e ho sempre trovato – ancora una volta – peculiare e affascinante il talento affabulatorio di De André. Così, in questa piccola storia, il caffè diventa testimone silente e fumante di un rapporto losco tra il brigadiere Cafiero e il boss malavitoso don Raffaele.
Ho cercato – per quanto possibile – di utilizzare video che contenessero il testo della canzone, nel video stesso o nella sua descrizione. Ma vi consiglio caldamente, cari lettori, di leggere ogni volta che potete i testi di questo straordinario autore, che cantava e suonava divinamente: non c’è modo migliore di ricordarlo, e di parlare a noi stessi.