Il suo ultimo romanzo, Santiago 544, è una spy story la cui ambientazione ci riporta indietro di alcuni anni: a “un altro” 11 settembre, quello del 1973, quando il colpo di stato del generale Pinochet rovesciò il governo del presidente cileno Salvador Allende. E poi all’invasione statunitense di Panama, attuata nel 1989, durante la presidenza di George H. W. Bush, per deporre il generale-dittatore Manuel Noriega; il tutto all’ombra delle azioni oscure della CIA, tra giacimenti di uranio e traffico di droga.
1. Annamaria, cosa ti ha spinta a scrivere questo romanzo dall’ambientazione “quasi storica”?
Mi piace che tu dica “ambientazione quasi storica” perché significa che in qualche misura ho raggiunto l’obiettivo. Di fatto la storia di Santiago 544 mi ha accompagnato per molti anni. Per molti della mia generazione il golpe cileno è stato vissuto come una grande tragedia collettiva. Ricordo tutto di quei giorni e ricordo anche la paura, sottile e sempre presente, che qualcosa del genere potesse accadere anche qui da noi. E’ stato un momento veramente terribile, con punte di disperazione infinita come quando è morto Pablo Neruda. Si era nel primo mese del golpe, Neruda era ricoverato, e i militari hanno letteralmente devastato la sua casa di Isla negra. Ecco, questo avvenimento di totale disprezzo per la cultura e la poesia ha segnato un punto di demarcazione di là dal quale c’era soltanto l’abisso in cui è sprofondato il popolo cileno. Mi dicevo che questa storia in qualche modo doveva essere scritta e alla fine l’ho fatto e ho cercato d’infondere l’orrore che avevo provato in quei giorni. Spero di esserci riuscita.
2. Quanto c’è di vero e quanto di inventato, nel romanzo?
Realtà e finzione in Santiago 544 sono strettamente intrecciate. E’ reale la preparazione del golpe, il coinvolgimento della CIA e le sue responsabilità, così com’è reale l’invasione americana a Panama; tutto il resto, ovviamente, è pura finzione. Però mi piaceva l’idea di inserire i miei personaggi in un contesto credibile e storico. Ho dedicato il libro al popolo cileno e, almeno nelle intenzioni, era proprio il popolo che doveva emergere. Per scrivere Santiago mi sono documentata moltissimo. Ho avuto la fortuna di trovare i documenti desecretati da Clinton e per tale motivo accessibili ai comuni mortali. Si tratta dei dispacci e delle comunicazioni intercorse tra la Casa Bianca e la Stazione CIA di Santiago subito dopo l’elezione di Allende. Ho cercato di approfondire il discorso dei Mapuche della Patagonia attraverso letture mirate; ho visionato video e ascoltato i discorsi di Pinochet. Un’autentica discesa agli inferi… Tutto questo nel romanzo è però filtrato attraverso le esperienze dei personaggi sicché alla fine la lettura risulta molto scorrevole e per niente pesante. Mi piaceva anche focalizzare la narrazione sui “cattivi” proprio per dare maggior risalto agli avvenimenti. Erik Santorini e Murphy, i due bravacci della CIA, sono in assoluto i miei personaggi più negativi e così Eduardo Cabella, giovane rampollo della borghesia di Santiago, che vende l’anima al diavolo e trova nel golpe il coronamento alle sue pulsioni di morte. E poi ci sono le donne e i bambini che in certi casi sono sempre le prime vittime. Mi piaceva anche evidenziare questo aspetto e così sono nati i personaggi di Paloma, Rogelio e Teresa.
3. Cosa ti attira, della “spy fiction”, e quali sono i tuoi autori preferiti in questo genere?
Come già ho avuto modo di dire, nella “spy fiction” mi attira innanzi tutto l’intrigo e lo stretto legame tra storia, politica e sociologia. Amo molto la storia e mi piacciono quei romanzi che sanno coniugare avvenimenti realmente accaduti al divertissement. Mi piace la leggerezza con cui sono trattati argomenti importanti. Penso a pomeriggi piovosi con un buon romanzo di Ken Follett o John Le Carré tra le mani. Qualche sigaretta. Qualche tazza di caffè. Senso di benessere totale…Devo dire, comunque, che un identico piacere me lo danno i romanzi gialli o la fantascienza. La letteratura di genere ha le sue peculiarità e per me si accompagna a riti ben precisi. E sono contenta di essere una scrittrice di genere perché penso sempre che un ipotetico lettore potrebbe leggermi con lo stesso piacere e magari, perché no, compiere gli stessi miei riti.
4. Che cos’è la scrittura, per te? Quali tue esigenze appaga?
Se guardo al passato vedo che la scrittura mi è stata compagna da sempre. Discreta e fedele, senza mai tradire le mie aspettative. Ho cominciato a scrivere giovanissima ma di quelle prime fatiche nulla è rimasto perché via via bruciavo tutto. Sono sempre stata molto esigente con me stessa e se una cosa non funzionava non avevo assolutamente rimpianti a disfarmene. Ho tenuto solo le poesie perché quelle non si devono bruciare, però non le ho mai rilette. Non so nemmeno dove siano; forse in soffitta insieme a tutte quelle cose che non mi decido a buttar via. Mi piace scrivere perché fondamentalmente mi piace inventare storie. Le elaboro piano piano prima di addormentarmi e non è detto che poi le scriva. In genere succede, ma non è sempre così. Quando insegnavo scrivevo favole per i miei bambini che erano lettori molto esigenti. Tengo giornalmente un diario che nel tempo è diventato uno strumento importante: una piccola fonte personale di documentazione che mi aiuta a ritrovare avvenimenti, canzoni, film, visi di amici o semplicemente di persone sconosciute che magari per un attimo hanno incrociato la mia vita. Mi piace pensarmi come un artigiano della penna. Il lavoro dello scrittore è lungo e faticoso. Mai abbandonarlo. Più si scrive e più si diventa bravi e si capiscono delle cose. Almeno è questa la mia opinione.
Annamaria Fassio
5. Confesso che non vedevo l’ora di porre quest’ultima domanda proprio a te, che scrivi romanzi così lontani dagli stereotipi della femminilità: secondo te esiste una “scrittura femminile”?Ahi che birichina che sei! Non è così semplice e scontato rispondere. Vorrei prima di tutto fare una premessa: esiste uno specifico femminile fatto di particolari sensibilità e di attenzioni verso un universo minore in genere misconosciuto dalla letteratura e dal cinema. Penso ai film della Archibugi, ad esempio, o a quelli della Comencini. E la narrativa gialla è ricca di autrici bravissime che hanno una cura particolare nel tratteggiare storie “al femminile” e che raramente sono stereotipate. Scrivono bene e sanno finemente entrare nella psicologia delle donne. Detto questo, però, credo che non esista una “scrittura femminile” fine a se stessa. Sono stata femminista ma già allora mi ponevo la domanda ed ero in netto contrasto, se non in opposizione, con chi invece ribadiva la necessità e l’urgenza di una scrittura tutta femminile. Grandissime protagoniste sono nate dalla penna di uomini che nemmeno sapevano cosa fosse il femminismo. Penso ad Emma Bovary, ad Anna Karenina, a Teresa Raquin, alla Gervaise dell’Assommoir di Zola. Eroine a tutto tondo che hanno messo in luce aspetti importanti del nostro essere donna. Altro discorso, invece, è la fatica di essere donna e scrittrice. Virginia Woolf parlava di “una stanza tutta per sé” rivendicando il diritto di uno spazio privato. Aveva profondamente ragione: le donne per molto tempo, troppo, non sono state padrone della loro intimità. Dovevano sempre fare i conti con la casa, il marito, i figli e, salvo qualche eccezione, le cose sono andate avanti per anni. La scrittura era a lato perché a dominare la vita erano ben altre cose. La stessa Simone De Beauvoir a volte si ritrovava a cucinare sul fornelletto da campo per lei e Sartre. E intanto pensava e scriveva Il secondo sesso.
Grazie, Annamaria! E per leggere un estratto da Santiago 544 potete spostarvi su questa pagina. Diversi commenti sul romanzo si trovano qui. Potete anche leggere un'interessante intervista con la scrittrice su Thriller Magazine. Vi ricordo infine che Annamaria Fassio è tra le autrici di Sorrisi di gatto: maggiori informazioni qui e qui.
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