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Cinque motivi per cui non lascerei il mio lavoro nemmeno per Gabriel Garko

Creato il 23 ottobre 2013 da Signorponza @signorponza

Tua mamma veste Prada

Visto che nella scorsa puntata di TMVP sono stata presa di mira dal lettore più ironico che io abbia mai avuto, che mi ha accusato di essere lagnosa scatenando una lotta nel fango nei commenti, desidero essere riabilitata ai suoi occhi spiegando perché, se ancora non fosse chiaro, ora come ora non lascerei per nulla al mondo il lavoro che ho. Lavorare nella moda a Milano, lo ribadisco, può portare all’esaurimento, ma è anche fonte di parecchie gioie e non lo mollerei nemmeno se al mio campanello si presentassero, insieme, Garko, Bardem e Gosling.

Al primo posto dei motivi per cui me lo tengo ben stretto non metto né lo stipendiAHHAHAH, né i riconoscimenti, né il successo, ma la posizione. Lavorare nella moda a Milano significa, nella stragrande maggioranza dei casi, godere di una posizione centralissima. Dopo un periodo passato a lavorare in quella che reputo la periferia brada della città, ed essere stata costretta a mangiare all’Esselunga di via Ripamonti tutti i santi giorni e a prendere l’autobus che a Milano rappresenta il male, la 90/91, lavorare in pieno centro adesso mi sembra un sogno. Il tempo di infilarmi in ascensore e sono già agli eventi – della serie minima spesa massima resa – senza contare che una pausa pranzo dietro corso Vittorio Emanuele significa potersi permettere, in rigoroso ordine di priorità, una ceretta last minute, un giro di shopping violento da Zara, un panino al GB bar (di norma, leggerissimo, tipo alla pasta di salame, melanzane e aceto balsamico) e, in genere, qualsiasi cosa si abbia l’esigenza di fare. Amici che continuate a lavorare in piazzale Lodi, mi leggete?

L’ambiente giovane del posto di lavoro è uno dei plus a cui non potrei più rinunciare. Gli anziani si devono rispettare, è vero, hanno più esperienza di noi e hanno tanto da insegnare e blablabla. Però, c’è un però. Provateci voi a lavorare nella comunicazione e ad avere a che fare con i vecchi. A fare l’ufficio stampa di imprenditori imbalsamati che finché non vedono un redazionale cartaceo il tuo lavoro non è servito a niente. Puoi anche aver lavorato notte e giorno ed essere riuscita a farli uscire su Vogue America e loro continueranno a voler vedere il loro umile trafiletto su ItaliaOggi. Alla lunga può essere stressante.

Avere a che fare con gli uffici stampa tutti i giorni rappresenta poi il non plus ultra dell’autostima. Io vi voglio bene, ragazze, ma se seguite – e di conseguenza rappresentate – marchi anche di un certo livello, perché siete così rustiche? Perché avete la capacita di placement e di rendere accattivante la vostra proposta pari a un video di Elisa? Perché, dopo anni di lavoro, vi permettete ingenuità come parlare di còòòòsmesi per descrivere il vostro prodotto?  Perché vi presentate ai press day come se steste andando al battesimo del primogenito ma senza aver fatto i baffi? Insomma, non lo nego: interfacciarsi ogni giorno con gli uffici stampa significa sentirsi di colpo più fighe.

I gadget. Quando in ufficio arrivano pacchi, pacchettini e buste è sempre una festa. Diciamocelo: le ragazze degli uffici stampa sono un po’ ruspanti, ma quando c’è bisogno di coccolarti lo fanno. Purtroppo, tutto sta nel come decidono di farlo. Ho perso il conto dei gift di bassissimo livello ricevuti nel tempo. Allora regalami una rosa dal marocchino dei Navigli, piuttosto. O una bottiglia di vino, colpendo nel segno delle mie dipendenze. Quando mi vengono recapitati braccialettini di dubbio gusto, cover dell’iPhone che non userebbe nemmeno mia nipote di 4 anni e ammennicoli vari che solo a capire cosa sono ci si impiega sei ore, l’entusiasmo va da sé che si smorzi all’istante. Ma quando scorgo il fatidico pacco sulla scrivania conservo sempre l’entusiasmo di una bambina alla vigilia del Natale. Amiche, non conta cosa c’è dentro, quello che conta è il pensiero, vero?

Gli inviti. Non si fosse capito, potrei evitare di fare la spesa da qui alla fine dei miei giorni. Ogni volta c’è qualche aperitivo, evento, catering stellato, finger food, e light lunch: tutti simpatici modi per far sottointendere agli invitati di poter scroccare cibo. Spesso l’organizzazione è diludente (e qui avevo già dato qualche consiglio alle agenzie perché il loro press day non si trasformasse di botto in una sagra di paese), però, anche in questo caso, quello che conta è il pensiero e il numero di bottiglie di champagne presenti sul tavolo. Con la scusa di chiacchierare, alla fine partono intere bottiglie e a furia di assaggini se ne esce un pasto intero.

Bastano come buoni motivi per continuare a fare quello che faccio? Paolo mi leggi? Dopotutto, credo che la cura migliore per l’esaurimento nervoso sia un bel bicchiere di Dom Perignon e un gift nelle mani di una comunicatrice che non sa coniugare adeguatamente i verbi. Insomma, il trucco sta nel cercare di non perdersi neanche un momento, come qualcuno di mia conoscenza. Ah, quelle merveille questo mondo della moda!

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Tua mamma veste Prada

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Il post Cinque motivi per cui non lascerei il mio lavoro nemmeno per Gabriel Garko, scritto da Chiara Ferraglia, appartiene al blog Così è (se vi pare).


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