Quante possibilità ci sono che al Senato la maggioranza faccia dietrofront, e ripristini i fondi del 5 per mille? Il sottosegretario all'Economia, Luigi Casero, ha assicurato qualche giorno fa che i "100 milioni di euro stanziati ora sono da considerare un acconto, nell'ambito delle disponibilità di bilancio attuali. Il nostro impegno è di mantenere il cinque per mille allo stesso livello del 2010. Nel corso del 2011 arriveremo a stanziare quello che manca per arrivare ai 400 milioni di euro previsti". Una promessa che, date anche le sorti incerte del governo attuale, il vicepresidente della commissione Lavoro della Camera Luigi Bobba (Pd) ha affermato rischia fortemente di rivelarsi una "promessa da marinaio": "Sarebbe bello scoprire - ha aggiunto però Bobba, che in passato è stato anche presidente delle Acli - che questa maggioranza finalmente cominica a mantenere gli impegni presi". L'impegno al ripristino del tetto di 400 milioni del cinque per mille è stato confermato anche dal vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi (Pdl), in diverse occasioni. Se dovesse crearsi anzi "un problema di priorità, se qualcosa dovesse andare storto, non esiterei un solo attimo - ha assicurato Lupi - a schierarmi con il 5 per mille, anche a costo di negare le risorse previste per le tv locali".
In effetti, ricordano le onlus, problemi analoghi si sono avuti tutti gli anni. E' per questo che in tanti chiedono la "stabilizzazione" del meccanismo del 5 per mille: una legge cioè che detti le regole una volta per tutte, e che preveda un accantonamento annuo, evitando le burrasche della Finanziaria, sempre più afflitta dalla scarsità dei fondi. Un accantonamento che però deve essere adeguato, altrimenti probabilmente non vale più la pena di confermare questo meccanismo, sostiene Maria Cecilia Guerra, docente di Scienza delle Finanze e Direttore del Dipartimento di Economia Politica presso l'Università di Modena e Reggio Emilia: "Il 5 per mille è stata una bandiera per Tremonti: era stato esaltato il fatto che il contribuente potesse decidere, la sussidiarietà, la libertà di scelta. Un po' come si è detto che la social card potesse diventare la soluzione per la povertà. Bandiere, appunto. La verità è che così com'è il 5 per mille non è molto democratico, perché ognuno decide la destinazione dei propri soldi, e quindi chi ha un reddito alto può dare una quota abbastanza significativa, gli undici milioni di incapienti non hanno alcuna voce in capitolo, e c'è infine una quota rilevante che può dare solo due tre euro. E' molto più democratico il meccanismo dell'8 per mille, perché ciascuno di noi esprime una scelta, incapienti compresi, si dà un voto su come debba essere ripartito l'8 per mille dell'Irpef globale. In ogni caso, davvero non vale la pena di tenere in piedi il 5 per mille così, sottofinanziato, con appena 100 milioni, anche perché il meccanismo di concorrenza tra le associazioni fa sì che tutti affrontino spese ingenti di pubblicità, per accaparrarsi più fondi".
In attesa di una legge che renda stabile il cinque per mille e che ne migliori il funzionamento, il terzo settore ha inviato una petizione al Parlamento Italiano e ai presidenti della Camera e del Senato, per chiedere il ripristino del tetto di 400 milioni. Il documento è anche on line (il sito si chiama: Io non ci sto 3): ogni giorno si aggiungono nuovi firmatari. Al momento le adesioni sono circa 70.000. Altre iniziative di questo tipo sono state promosse anche da associazioni e gruppi di associazioni. Alla petizione promossa dal settimanale Vita 4 e dal Forum del Terzo Settore hanno già aderito oltre 10.000 persone.
A contestare il taglio del 5 per mille anche le associazioni dei consumatori: il Codacons, in particolare, denuncia lo "scippo" operato dal governo: "I cittadini hanno compiuto una attività e una scelta precisa, ossia indicare sulle loro denunce dei redditi a chi devolvere il 5 per mille. Essi, infatti, avrebbero potuto non destinarlo a nessuno oppure ad enti diversi, se avessero saputo che una parte di tale loro disponibilità sarebbe stata incamerata dallo Stato", denuncia il presidente dell'associazione, Carlo Rienzi.
In effetti il punto è proprio questo: non si tratta di un taglio qualunque. Si tratta di una grave violazione delle scelte dei cittadini, oltre dell'ennesimo storno di fondi istituiti con una destinazione precisa, e poi prelevati e spesi per finalità completamente diverse. Il cinque per mille, ricorda Maurizio Mumolo, presidente del Forum del Terzo Settore, è stato istituito dalla Finanziaria del 2005, e poi confermato ogni anno dalle successive Finanziarie: "Ogni anno s'introduce la copertura finanziaria, il che significa che ogni anno bisogna fare una battaglia. Eppure a istituire il cinque per mille è stato proprio il ministro Tremonti".
Il primo anno le risorse erogate totali sono state 329 milioni di euro (dei quali 192 milioni destinati al terzo settore); nel 2007 le risorse (fu messo un tetto per 400 milioni di euro) sono state 371 milioni; l'anno successivo 397 (ancora una volta con un tetto di 400 milioni), per gli anni 2009-2010 non ci sono ancora i dati sull'erogato, ma c'è un tetto di 400 milioni. Le risorse del 2008 (le ultime rispetto alle quali ci sono già i dati) sono state così divise: 278 milioni per il volontariato; 64 milioni per la ricerca scientifica (in testa l'associazione contro il cancro AIRC, che ha avuto circa 70 milioni) e la ricerca sanitaria, con altri 65 milioni. Per il 2011, al momento, il tetto è stato fissato a 100 milioni, con una riduzione del 75%, una cifra chiaramente inferiore alle preferenze di solito espresse dai contribuenti.
Per destinare il 5 per mille all'ente che si è scelto bisogna barrare una casella della dichiarazione dei redditi, casella diversa da quella dell'8 per mille (destinato invece alla Chiesa e ad altre confessioni religiose). Nella stessa casella va poi inserito il codice fiscale dell'ente che si è scelto. Un meccanismo semplice, eppure da una ricerca condotta alcuni mesi fa dalla Fondazione San Raffaele è emerso che il 45,4% degli italiani non sa come destinare il 5 per mille, mentre addirittura il 30% non è a conoscenza di questa possibilità, percentuale che al Sud sale al 45%.
Nonostante ciò, alle associazioni sono arrivati fondi cospicui, anche se con significativo ritardo. "I fondi dei primi tre anni ci sono arrivati in media tre anni dopo - spiegano alla Fondazione AlmaMater, che gestisce tutto quello che riguarda il cinque per mille per l'Università di Bologna, la più 'votata' dai contribuenti, quella che cioè ha ottenuto il numero maggiore di preferenze tra le università italiane - Abbiamo avuto 550.000 euro il primo anno, 650.000 il secondo e 600.000 il terzo; per il resto ancora non sappiamo. Se questo taglio venisse confermato, ragionevolmente non possiamo aspettarci più di 30.000-40.000 euro".
"Il problema - spiega Mumolo - si aggrava per il fatto che contemporaneamente si ha una riduzione drastica delle spese sociali su tanti capitoli di bilancio, una riduzione del finanziamento al servizio civile, che incide sulle onlus, perché gran parte dei volontari del servizio civile stanno presso le associazioni no-profit. E infine c'è anche l'eliminazione dei benefici per la stampa del no-profit".
"E' un attacco al mondo del no-profit e all'economia sociale e solidale di questo Paese, - dice Francesco Petrelli, presidente delle Ong italiane - oltre che in imbarazzante contrasto con i principi di libertà tanto sbandierati dal governo, che invece con i tagli al 5 per mille impedisce la libera scelta dei cittadini di destinare risorse al terzo settore. Il tetto dei 100 milioni di euro imposti da Tremonti sono un colpo all'azione sussidiaria che il mondo del volontariato svolge in sostituzione di molti servizi essenziali di assistenza che l'apparato pubblico non sa, non può, non vuole esercitare. Si tratta di servizi fondamentali, anche per la tenuta sociale del Paese, per la sua stabilità. Insomma un attacco cieco e indiscriminato ad un settore di cui evidentemente si ignora - o si finge di ignorare - il valore e l'utilità".