Cinque stelle liquide

Creato il 28 maggio 2013 da Albertocapece

C’è chi si compiace del fatto che i grillini siano tornati nel girone del voto a una cifra, che sia cessato lo tsunami del cambiamento che minacciava le casematte dei partiti e dei loro apparati, che l’eresia così pericolosa per il cavaliere e così fastidiosa per i lacerti di una sinistra ha conservato solo il leninismo, sia stata alla fine sconfitta . C’è chi si addolora per l’ondata così breve e così futile del cambiamento, c’è chi cerca giustificazioni nel solco del politichese, assoluzioni da colpe, allontanamento del calice amaro. Ma la sconfitta, già annunciata in Friuli, era stata scritta nei giorni successivi alle politiche: il movimento 5 stelle, come del resto ho detto e ripetuto insieme a tantissimi altri, non ha saputo cogliere la voglia di cambiamento che egli stesso ha predicato e incarnato contro l’immobilismo dei partiti tradizionali: aveva tutte le carte in mano per allearsi col Pd e condizionarlo nelle scelte. O al limite di metterlo in un angolo e costringerlo a rivelare la voglia di inciucio, a mostrarsi con la faccia di mister Hyde degli apparati.

Non lo ha fatto, o meglio non è stato in grado di farlo travolto dal un successo inaspettato, con una pattuglia  di parlamentari alla loro prima vera esperienza politica, un po’ raccogliticci, privo di una vera articolazione organizzativa e propositiva che non può essere surrogata con l’invocazione magica del “web” il quale di certo è un mezzo straordinario, che di certo influenza il messaggio, ma che deve essere in qualche modo ordinato e coordinato perché i “pacchetti di informazione”, come accade appunto nella rete fisica, diano alla fine un significato coerente e non si limitino a correre per i cavi, mescolando le cose serie agli scontrini. E infine con un padre padrone certamente essenziale al suo lancio, capace di essere icastico e incisivo, ma che sembra avere più il carattere di impresario che di vero leader politico. E credo che Grillo stesso lo sappia meglio di tutti: personalmente scorgo la sua stanchezza di fronte a qualcosa che è cresciuto oltre le sue intenzioni e le sue corde, che ormai lo divora e non lo appassiona più.

Ma tutto questo è la faccia illuminata della luna, ciò che si scorge sempre. C’è la parte nascosta che non sono i finanziamenti del blog e il loro utilizzo o la collocazione di Casaleggio nella costellazione stellata e i suoi rapporti d’affari, c’è qualcosa che forse potremmo esprimere con un interrogativo che per molti grillini potrà apparire come una bestemmia: e se in realtà il rifiuto di misurarsi con la realtà del Parlamento e con il fare, non sia stato il frutto di errori e di ingenuità, ma di una volontà subliminale?

Non voglio metterci di mezzo Freud ovviamente, non abbiamo un paziente steso sul lettino, sebbene la società del desiderio di massa potrebbe permettere anche questa operazione. Ma esaminiamo la fotografia della situazione: da una parte abbiamo un’oligarchia non più nascosta dentro le pudibonde mutande della “necessità” ovvero del principale meme del pensiero unico, ma colta in un’ammucchiata che rivendica il proprio privilegio, persino quello di essere affrancato dalla legge, senza saper nemmeno più esprimere mezza parola sulla disuguaglianza che al contrario viene vista come risorsa competitiva.  Dall’altro invece una corrente di opinione che vuole contrastare e abolire lo sfacciato privilegio a tutti i livelli nazionale e sovranazionale, ma non sembra collegarlo allo stato di subordinazione dei cittadini e in particolare dei ceti popolari che ne è il necessario correlato. Non significa che questo tipo di opposizione non si accorga dell’impoverimento, della precarietà, della disoccupazione e del dramma del Paese, anzi è l’unica che ci bada veramente al di fuori della ritualità politichese, lo fa tuttavia senza avere il sospetto che le due cose siano le due facce della stessa medaglia, senza una chiara consapevolezza che non puoi combattere il privilegio senza partire dalla diseguaglianza, che non puoi abolirlo lasciando intatta l’iniquità sociale. Non puoi farlo  nell’ambito di ciò che chiamiamo tradizionalmente democrazia. Ma è possibile, anzi quasi ovvio nella post democrazia al quale sembrano appartenere tutti gli attori politici della scena italiana e i media di contorno, salvo frange marginali malate ahimè di narcisismo.

Ciò che voglio dire è che il piano politico e di pensiero sul quale agiscono gli “oligarchici”e i “democratici”, se mi passate questa  generalizzazione, è lo stesso: si può giocare su una parte o sull’altra del tavolo, ma – se riesco a rendere il concetto – è lo stesso tavolo. O lo ribalti o alla fine sarai poco incisivo, potrai vincere qualche mano, andartene in mutande, fare patta, ma non stabilisci le regole del gioco. Senza un profondo senso della diseguaglianza della nostra società, senza partire da ciò che è sono il correlato oggettivo dell’oligarchia, è fatale avere esitazioni nella battaglia contro il privilegio di cui le ruberie non sono che un aspetto, formalmente illegale, ma informalmente legittimato .

Ed è allora che ci si rifugia dentro la contabilità degli scontrini, nella correttezza un po’ grottesca nel mezzo di un dramma, dentro la mitizzazione movimentista, dentro quella suprema astrazione che si chiama concreto.


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