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Otto pagine. Tanto è lungo il rapporto “Preserving Ukraine’s Independence, Resisting Russian Aggression: What the United States and Nato Must Do".
In breve, in quelle otto pagine si raccomanda di dare (noi Nato) all'Ucraina tre miliardi di dollari in armamenti, anche "letali" – distinzione importante, perché si tratta di fornire non semplicemente kit di primo soccorso o elmetti, ma proprio armi, missili, fucili. Un miliardo dovrebbe essere inviato subito, per far fronte all'emergenza; gli altri due dilazionati nei prossimi due anni. L'arma più necessaria da spedire in Ucraina, secondo il paper, sono i missili anticarro: la Nato dovrebbe farlo in fretta, perché la Russia sta utilizzando contro l'esercito ucraino i carri armati, e i sistemi di difesa delle forze di Kiev sono troppo obsoleti per farne fronte. Ma – sempre stando al report – dovrebbero essere inviati pure sistemi radar sofisticati, perché «oltre il 70 per cento dei morti tra gli ucraini», arriva da un mix letale di droni e colpi di artiglieria. I russi (o i ribelli filorussi, ma non si fa molta distinzione) osservano il campo con i droni, scovano le posizioni dei soldati ucraini, e artiglieria e lanciarazzi multipli (moderne versione dei Katiuscia) li colpiscono. Radar adeguati potrebbero rapidamente individuare da dove arrivano i colpi, e poi servirebbero congegni per la guerra tecnologica: cose tipo le radio criptate, perché altrimenti con i sistemi di comunicazione che ha adesso l'esercito ucraino, è come giocare a carte scoperte: e anche apparecchi per disturbare la trasmissione dei droni russi alle basi di attacco. I droni, pure quelli: perché secondo il rapporto sarebbero molto necessari, almeno per missioni di osservazione (cioè senza inviarne di armati), almeno per ripetere lo schema d'azione russo.
Anche senza queste raccomandazioni, si sapeva già che esiste un gap d'intelligence nell'est ucraino. Così come, al di là delle righe scritte in quelle pagine, si può dare abbastanza per assodato che Putin e la Russia siano dietro ai separatisti del Donbass. È altrettanto palese, infine, come le forze armate ucraine non siano più in grado di contenere l'avanzata dei separatisti.
L'uscita di questo documento, combacia con un non-troppo-velato cambio di linea dell'Amministrazione Obama sulla questione ucraina. Già, perché se il generale USA Philiph Breedlove, comandante militare della Nato, era da tempo dell'idea di mandare armi ai ribelli, e con lui il capo di Stato maggiore Patrick Dempsey e l'ex capo del Pentagono Chuck Hagel, sulla stessa posizione si stanno mettendo altri notabili della Casa Bianca. A cominciare, per esempio, dal consigliere per la Sicurezza nazionale Susan Rice, che, secondo fonti sentite dai media americani, si sarebbe dichiarata «pronta a considerare la cosa» – notare che prima da quelle parti era tutta una serie secca e ripetuta di “no”.
C'è un timore molto forte dietro a tutto questo: Nato, Europa e America, hanno paura che a furia di perdere terreno, l'inadeguatezza di Kiev permetterà ai separatisti di raccordare i territori dell'est con la Crimea. Non è follia, se si considera che l'anno scorso, di questi tempi, nessuno avrebbe mai immaginato che la Russia si sarebbe spinta fino alla conquista militare di una porzione consistente di un altro stato sovrano.
Un'altra cosa importante dietro a questo rapporto, sta nei nomi che lo hanno redatto. C'è la firma di Jim Stavridis, ex comandante della Nato, quella di Ivo Daalder, ex ambasciatore di Obama alla Nato, e soprattutto quella di Michèle Flournoy – fondatrice nel 2007 di un think tank piccolo ma molto influente, il Center for a New American Security, considerata una delle massime esperte di sicurezza nazionale in America (è stata la donna più alto in grado mai vista al Pentagono, prima di dimettersi nel 2012, e il suo nome circolava in cima alla lista per il dopo Hagel, ma poi, con un'intervista su Politico, si è fatta da parte). Scrive Paola Peduzzi sul Foglio, che il paper è pragmatico come lo è lei, per questo gode ancora della fiducia del presidente (anche se non è nella sua cerchia ristretta) e può permettersi di andare dritta al punto, pure pesantemente – sul documento, c'è proprio scritto che Washington deve smettere di sottovalutare la situazione in Ucraina.
Flournoy si è sempre opposta al taglio di budget all'esercito e ha sempre difeso il ruolo "morale" dell'America in questioni come quella ucraina (una volta, intervistata da Mattia Ferraresi sul Foglio, era il 2012, disse che «il pragmatismo non è senza principi»).
Ora Flournoy potrebbe rappresentare il futuro americano, magari prendendosi quel ruolo di capo del Pentagono per cui era sempre la "miglior opzione in successione di", senza arrivare mai alla fine. Potrebbe, per dire, diventare la prima donna segretario alla Difesa, magari al fianco di Hillary Clinton, se dovesse essere la presidente democratica alle elezioni del 2016. (Tanto per ricordarci, pure la Clinton, quando era segretario di Stato, faceva parte di quel gruppo del vecchio inner circle presidenziale, che voleva fornire armi ai ribelli siriani contro Assad. Le armi non arrivarono, tra i ribelli "i più motivati" si sono trasformati in mostri – vedi alla voce Isis –, e quelli di quel "cerchio" sono stati tutti scaricati dal Obama).
Ora sta per cambiare l'inquilino della Casa Bianca, Obama è una lame duck, e le cose stanno già prendendo altre direzioni: tra i dem si serrano i ranghi e ci si arrocca sulle postazioni. Per questo il report sulla necessità di fornire armi ai ribelli ucraini, diventa ancora più importante. Perché assume un serio peso politico.
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