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A volte ci si mette il destino a dividere due strade che sembrano fatte apposta per correre insieme, intrecciate, simbiotiche. Basta poco perché queste stesse strade diventino parallele. Ci si mettono le scelte, personali e professionali, le situazioni economiche, il cuore, la testa, e tutto il resto.
E' successa la stessa cosa tra Ciro Ferrara ed il Napoli. Proprio il giocatore che ha raccolto l'eredità di Maradona, diventando capitano, e poteva essere la bandiera della formazione azzurra, è andato a vestire la maglia dell'odiata Juventus, divenendone uno dei simboli. Come è possibile che accada ciò? Purtroppo accade, in un mondo come il calcio dove il professionismo quasi sempre ha la meglio sulle ragioni del cuore, e fare profitto, salvando così le sorti di una società, porta a sacrificare i sentimenti più veri, come quelli di un ragazzo nato e cresciuto a due passi dallo stadio, costretto a emigrare.
Ferrara cresce nel Napoli, lo scopre Varriale, un conoscitore di calcio, e attuale frequentatore di trasmissioni sportive locali sul calcio minore. Viene lanciato in prima squadra come erede di Bruscolotti, in concomitanza con i primi anni di Maradona al Napoli. e' un difensore vecchia scuola, quelli abituati a marcare a uomo cercando l'anticipo, molto fisico, forte di testa, e prevalentemente di piede destro. Parte dalla panchina, ma sarà Ottavio Bianchi a lanciarlo con maggiore frequenza in prima squadra proprio al posto di Bruscolotti a fine carriera, schierandolo da terzino. A quei tempi il terzino era quasi esclusivamente bloccato, pronto a contrastare l'ala destra avversaria, che di solito indossava la maglia numero sette. Ferrara invece aveva il due, quel numero due che porterà con sé per tutto il corso della sua lunga carriera.
Con l'esordio nel calcio che conta direttamente in serie A, Ferrara scoprirà ben presto anche l'azzurro della nazionale, prima l'under 21, poi quasi subito la maggiore, partecipando anche ai mondiali del 1990. Ma prima ancora il contatto con i suoi primi grandi successi: vince due scudetti con il Napoli di Maradona, due coppe Italia, una supercoppa italiana, ma soprattutto la coppa Uefa, nella quale segna anche un gran gol nella finalissima contro lo Stoccarda, terminando quella gara tedesca alzando la coppa e sciogliendosi in lacrime tra le braccia di Diego.
il 1994 è l'anno dell'addio di Ciro al Napoli. L'allenatore è Lippi, che regala la qualificazione Uefa (e Ferrara segnerà un gol nell'ultima gara al san Paolo, contro il Parma), ma al tempo stesso inizia la crisi inesorabile del Napoli, che costringe la società a cedere i giocatori migliori, e tra questi anche Ciro. Il calciatore napoletano vestirà la maglia bianconera della Juventus fino a fine carriera, tanto da collezionare con la formazione di Torino il maggior numero di presenze in carriera, e superando quelle collezionate con il Napoli.
Se molti tifosi hanno compreso, altri non hanno nè capito nè accettato quel trasferimento, e mai hanno accolto bene Ferrara quando veniva a Napoli, sia con la Juve, sia con la nazionale. questo gli è successo sia da calciatore, sia da allenatore, carriera nella quale non è riuscito ancora a decollare.
Eppure Ciro ha dimostrato di essere comunque legato alla sua città, formando con Cannavaro una fondazione benefica, pur conservando le sue attività imprenditoriali quasi esclusivamente Torino.Scelte, appunto, condivisibili o no. Ma al di là delle scelte, resta il rimpianto di non essersi goduti appieno un giocatore che aveva tutte le carte in regola per diventare una bandiera.
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