“È arrivato il momento della rivoluzione religiosa” dice Taj Hargey, professore di studi islamici a Oxford, nato e cresciuto in Sudafrica. È lui l’ideatore della Moschea aperta inaugurata ieri a Città del Capo: donne-imam che possono guidare la preghiera, sciiti che si inginocchiano accanto a sunniti, non musulmani e gay benvenuti.
L’edificio di culto è stato inaugurato in un venerdì di preghiera, nel quartiere di Wynberg.
Nulla hanno potuto le proteste del locale Consiglio islamico su “integrità” e “purezza”.
“Sono mafiosi teologici aggrappati a un’accozzaglia di interpretazioni medievali del Corano” ribatte il professore.
“Coloured”, figlio con sette fratelli di un commesso di supermercato e di una madre che non sapeva leggere né scrivere. E abituato a combattere, prima con il regime di apartheid, poi con interpretazioni conservatrici e intolleranti dell’Islam. “In Sudafrica e nel mondo – dice – servono luoghi di culto che riflettano il XXI secolo e non utopie e dogmi privi di fondamento”.
L’idea della Moschea aperta è maturata osservando i cambiamenti del Sudafrica dopo la fine del regime segregazionista.
“Venti anni fa abbiamo fatto una rivoluzione politica che ha innescato un’evoluzione positiva – dice Hargey – ma oggi abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa, soprattutto nella comunità islamica”.
La fonte resta ovviamente il Corano, il nemico le sue interpretazioni restrittive e reazionarie. Ad esempio rispetto al ruolo delle donne. Condannate all’invisibilità, secondo Hargey, “da pratiche che si diffusero dopo Maometto e che purtroppo si sono radicate”.
Nella Moschea aperta, da ieri, donne e uomini, con la barba o senza, neri, bianchi e “coloured”, hanno potuto pregare insieme.
Senza distinzioni tra sciiti e sunniti, che pure nella piccola comunità dei musulmani del Sudafrica (circa il 2% della popolazione) sono maggioranza.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)