Giro attorno a quest’idea da così tanti mesi che non so contarli (tendenzialmente, per darvi un’idea, credo novembre) e fondamentalmente mi piace far la romantica sull’idea di viaggiare con i libri, anche in posti che non esistono se non tra le righe. Avevo intenzione di postare il primo post di questa nuova rubrica con un’altra serie, ma è così complessa che proprio non ho tempo al momento per dedicarmici come vorrei, quindi ho optato per un libriccino di cui conosco la città e un post per il quale posso reperire cose più velocemente di quanto non potessi fare con l’altra. Ma non temete: arriverà! Nel frattempo, dedichiamoci a Parigi, che non è mica male, anzi, proprio per niente.
Ecco tutto ciò che conosco della Francia: Amélie e Moulin Rouge. La Tour Eiffel e l’Arco di Trionfo, anche se non ho la più pallida idea della loro reale funzione. Poi ci sono Napoleone, Maria Antonietta e una sfilza infinita di re che si chiamavano Luigi. E neanche in questo caso sono sicura di che cosa abbiano fatto, ma penso che c’entrino in qualche modo con la Rivoluzione Francese, che a sua volta c’entra con la parata del 14 luglio. Il museo d’arte si chiama Louvre e ha la forma di una piramide, e la Gioconda se ne sta lì, insieme alla statua della donna senza braccia. E poi ci sono caffè, o bistrot, o come diavolo si chiamano, a ogni angolo di strada. E i mimi. Il cibo pare sia buono e la gente beve un sacco di vino e fuma un sacco di sigarette (…) Abito nel Quartiere Latino, nel quinto arrondissement. Secondo il mio dizionario tascabile significa “distretto amministrativo”, e gli edifici del mio arrondissement si fondono l’uno nell’altro, curvando sugli angoli con la sontuosità di una torta nuziale. I marciapiedi brulicano di studenti e turisti, e sono cosparsi di lampioni art déco e panchine tutte uguali, di alberi frondosi protetti da basse reti metalliche, cattedrali gotiche e minuscole crêperies, espositori di cartoline e balconi in ferro battuto ricchi di ghirigori.
Anna, diciottenne americana abbandonata nella capitale francese dai genitori per frequentare l’ultimo anno di liceo alla School of America, si ritrova a vivere in uno dei quartieri più belli che l’intera città possa offrire, se non il più bello. Uno dei pochissimi quartieri parigini a non esser stato quasi per niente trasformato da Napoleone III durante l’ammodernamento della città, il quartiere latino conserva il suo fascino grazie alle strette viuzze e le piccole piazze che lo caratterizzano. Più che un quartiere, comunque, è una zona, trovandosi a cavallo tra il V e il VI arrondissement ed è sicuramente il centro nevralgico della Parigi studentesca poiché ospita una quantità spropositata di scuole, istituti e università (non a caso l’appellativo di “latino” è rimasto per le lezioni che venivano tenute in questa lingua). Tra cui, quella nella quale si trovano i protagonisti. E cos’altro si trova in questa meraviglia di zona? Il Panthéon, il jardin du Luxembourg e la chiesa di Saint-Étienne-du-Mont. Pronti a scoprirli con Anna e St. Clair?
St. Clair mi prende per mano trascinandomi con violenza verso le scale; sono nervosa, ho una gran paura di quello che può accadere. L’adrenalina gli fa salire un intero giro della chiocciola, ma poi è come se il suo corpo si rendesse all’improvviso conto della situazione e si ferma di colpo, oscillando pericolosamente all’indietro.
Alle sue spalle, io lo tengo. «Sono qui.»
Mi stritola le dita in una stretta mortale.
In cima al colle di Sainte-Geneviève e costruito sulle rovine di una chiesa dedicata alla patrona di Parigi – per l’appunto, Santa Genoveffa -, c’è il Panthéon, dove Anna trascina un Étienne più che sconvolto il giorno del Ringraziamento. Ve lo ricordate? Purtroppo, in gita non ci abbiamo neanche messo piede dentro e sto morendo dalla voglia di prenotare un volo solo per infilare nella cripta la cui scala d’accesso ha così tanto messo in crisi St. Clair, ma temo che anche il mio, di omino, finirebbe per paralizzarsi allo stesso modo…!
Giardino pubblico del palazzo del Senato e uno dei più grandi parchi francesi, il jardin du Luxembourg fu costruito su volere di una mia concittadina, Maria de’ Medici, moglie di re Enrico IV, ed è di una bellezza di cui è impossibile parlare. Va visitato, girato, conosciuto palmo a palmo, nei periodi dell’anno in cui è al massimo dello splendore, l’autunno e la primavera.
Ricco di sculture, tra cui la fontana dei Medici e una riproduzione della Statua della Libertà, ha anche un laghetto – quasi uno stagno, in realtà – nel quale si svolgono regate di barche in miniatura.
Ricorda qualche scena del libro questo particolare? A me ne viene in mente una e niente, godetevela perché è sicuramente quella che più si aspetta per l’intera narrazione.
Si sposta un altro po’ e il mio corpo risponde con un movimento simile. Siamo braccio contro braccio, gamba contro gamba. La sua mano sta stritolando la mia, costringendomi a guardarlo.
È quello che faccio.
Gli occhi scuri di Étienne cercano i miei. «Che cosa stiamo facendo?» La sua voce è innaturale.
È così bello, così perfetto. Mi gira la testa. Il cuore mi martella, il battito è impazzito. Avvicino il volto al suo e lui risponde con un identico lento movimento verso il mio. Chiude gli occhi. Le nostre labbra si sfiorano leggermente.
«Se mi chiedi di baciarti, lo farò» bisbiglia.
Con le dita mi accarezza la parte interna dei polsi e io vado a fuoco.
«Baciami» mormoro.
E lui lo fa.
La chiesa di Étienne, come dice lui. Va bene, non proprio sua in senso stretto ma ha il suo nome ed è già qualcosa, no? Saint-Étienne-Du-Mont, a pchi passi dal Panthéon, è un capolavoro d’arte tardo-gotica e precisamente di quella corrente che i francesi chiamano flamboyant (fiammeggiante): io di arte ne so poco e chi segue storia dell’arte moderna con me lo sa bene, ma qualcosa ogni tanto mi rimane impresso in testa, tipo le linee architetturali i cui slanci sembrano fiamme vive e il modo nel quale lo spazio è utilizzato per far sembrare di un’altezza colossale quello che di base non lo è più di tanto. Un effetto di maestosità impressionante, la ragione per la quale ho scelto le foto che vedete qui di fianco.
Mi compare davanti la splendida Saint-Étienne-du-Mont, e penso alla madre di St. Clair che prepara pranzi al sacco e disegna i piccioni. Cerco di immaginarmelo mentre corre qui attorno vestito da scolaretto, in pantaloni corti e con le ginocchia piene di croste, ma non ci riesco. Riesco solo a vedere la persona che conosco, calma e sicura di sé, con le mani nelle tasche e l’incedere disinvolto. Il tipo di persona che irradia un campo magnetico naturale, verso il quale tutti sono attratti, da cui tutti sono abbagliati.
Situata su una delle due isole fluviali di Parigi, l’Île de la Cité (l’altra è l’Île Saint-Louis), la cattedrale di Notre-Dame è il fulcro del cattolicesimo parigino ed ha una storia così lunga che non starò certo qui ad annoiarvi coi dettagli. Vi basti sapere che è stata cominciata nel 1163 ed ha subito numerosi restauri nel corso dei secoli, specialmente dopo la rivoluzione francese durante la quale fu devastata. Incredibile come cose ricordate come tendenzialmente positive comportino anche cose incredibilmente orride, no?
Ad ogni modo, mi son appena resa conto di aver scelto come immagine quella della statua preferita di Anna, nella Galleria delle Chimere, che no, non sono gargoyle, come siamo portati a pensare, ma semplicemente, appunto, chimere, creature mitologiche il cui corpo ha parti di animali differenti. Bellissime nel loro essere grottesche.
La costruzione è come una grande nave che procede lungo il fiume. Massiccia. Mostruosa. Maestosa. Per come è illuminata, mi ricorda in modo assurdo Disney World, ma è molto più magica di qualunque cosa Walt avrebbe mai potuto concepire. Ciuffi di rampicanti verdi debordano dai muri e scendono fino all’acqua, completando la favola.
Espiro lentamente. «È bellissima.»
St. Clair sta guardando me.
«Non ho mai visto niente di simile.» Non so cos’altro dire.
Per raggiungerla dobbiamo attraversare un ponte. Non mi ero resa conto che fosse costruita su un’isola. St. Clair mi dice che stiamo andando all’Île de la Cité, l’Isola della Città, il quartiere più antico di tutta Parigi. Sotto di noi la Senna scintilla, profonda e verde, e una lunga barca decorata di luci scivola oltre il ponte.
«Eccoci» annuncia.
Da dove siamo abbiamo una visuale perfetta dell’ingresso principale: centinaia e centinaia di minuscole figure intagliate all’interno di tre colossali portali ad arco. Le statue sembrano bambole di pietra, tutte diverse e ricche di particolari.
«Sono incredibili» sussurro.
«Non lì. Qui.» Indica ai miei piedi.
Abbasso lo sguardo e scopro con sorpresa di trovarmi al centro di un piccolo cerchio di pietra. Nel mezzo, esattamente fra le mie scarpe, c’è un ottagono di bronzo con una rosa dei venti. Nella pietra tutt’attorno sono incise le parole: POINT ZÉRO DES ROUTES DE FRANCE.
«Mademoiselle Oliphant, la traduzione è punto zero delle strade di Francia. In altre parole, è il punto da cui in Francia vengono misurate tutte le distanze.» St. Clair si schiarisce la voce: «È dove tutto ha inizio».
Torno ad alzare lo sguardo. Sta sorridendo.
«Benvenuta a Parigi, Anna. Sono felice che tu sia qui.»
Se mai andrete a Parigi, il cimitero del Père-Lachaise non può non essere una tappa obbligata. Probabilmente io non sono attendibile vista la mia mania dei cimiteri – per dire, ho un’ossessione per alcuni monumenti funebri (specialmente quelli del cimitero delle Porte Sante, accanto a San Miniato al Monte) -, ma questa città nella città ha un fascino innegabile.
Prende il nome da padre La Chaise, proprietario dei terreni sul quale sorge e confessore di Luigi XIV, e custodisce al suo interno le tombe di alcune delle personalità più illustri di Francia e non solo. Ce ne sono così tante che la lista potrebbe durare giorni interi e la noia sarebbe infinita. Fatto sta che, per me, rimane un posto assolutamente da visitare e a quanto pare anche per i protagonisti de Il primo bacio a Parigi, visto che addirittura hanno il coraggio di gironzolarci ad Holloween.
Ci stiamo trascinando tutti e cinque – Mer, Rashmi, Josh, St. Clair e io – per il Cimetière du Père-Lachaise, situato sul fianco di una collina che sovrasta Parigi. Il cimitero è come una città in miniatura. Larghi viottoli attraversano come strade quartieri di tombe elaborate. Mi ricordano delle minuscole ville gotiche, con le loro soglie ad arco, le statue e le finestre a piombo. Tutt’attorno al perimetro corre un muro di pietra con uomini di guardia e cancelli di ferro. Dei vecchi castagni allungano i rami sopra le nostre teste, sventolando le ultime foglie dorate rimaste.
È una città più silenziosa di Parigi, ma non per questo colpisce meno (…)
«I parigini chiamano il Père-Lachaise la Cité des Morts» dice St. Clair.
«Che significa?» chiedo, grata dell’opportunità di ignorare La Coppia.
«La “Città dei Morti”. Per le sue dimensioni e per come è fatto, immagino. Lo fece costruire Napoleone dopo aver bandito i cimiteri dalle città, per ragioni sanitarie…»
Ed infine lei, anzi LEI. Pioveva, anzi, grandinava, quel giorno quando ci siamo finalmente arrivati. Ed è come entrare a casa, sul serio: ci sono divani, letti, scrivanie e una cucina, con gatti ovunque, affettuosi quanto la proprietaria che con pazienza infinita sopporta il pellegrinaggio di frotte di turisti che si infilano su per le strette scale e gironzolano uno accanto all’altro in corridoi minuscoli e affollati di libri in ogni dove. È la Mecca del lettore, un istituzione prima ancora che una libreria, l’unica, tra l’altro, ad aver avuto il coraggio di pubblicare l’Ulisse di Joyce quando tutti lo volevano censurare o lo rifiutavano.
Non è questa la sua sede originaria né dopotutto Shakespeare & co. il nome che aveva alla nascita, ma poco importa. Quel che conta è che lo spirito sia rimasto intatto. Oggi rimane un gioiellino anglofono in terra straniera ed ha allargato le sue prospettive: oltre ad ospitare biennalmente un festival culturale, al piano superiore è stata aperta una sorta di locanda per artisti squattrinati che ripagano in aiuto concreto nella gestione e pulizia della libreria l’ospitalità ricevuta. Ammettetelo, ce la volete passare anche voi una notte circondati da libri che arrivano fino al soffitto!
Titolo: Il primo bacio a Parigi
Titolo originale: Anna and the French kiss
Serie: Anna and the French kiss #1 (ogni romanzo è autoconclusivo)
Autrice: Stephanie Perkins
Traduttrice: Alessandra Maestrini
Editore: DeAgostini
Anno: 2015
Pagine: 400
Anna è pronta a passare un ultimo anno di liceo indimenticabile insieme alla sua migliore amica e a un ragazzo che sta per diventare il suo ragazzo. Ma il padre ha deciso di regalarle un’esperienza altrettanto indimenticabile: un anno in una scuola internazionale a Parigi! Peccato che Anna non riesca a prenderla con altrettanto entusiasmo: non sa una parola di francese, si sente l’ultima arrivata e non riconosce neanche il cibo che trova a mensa. Per fortuna nei corridoi si scontra con quanto di più interessante la città possa offrirle: Etienne St. Clair. Occhi splendidi, capelli perfetti, un’innata gentilezza e un’irresistibile ironia: St. Clair ha proprio tutto… anche una fidanzata, purtroppo! Per quanto Anna cerchi di non infilarsi in una situazione complicata, Parigi non è proprio la città adatta per resistere a una cotta colossale…