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Le osservo in questi giorni di canicola. Spogliate oltre necessità, girano torno torno sulla graticola urbana carni ustionate a chiazze. Loro dissimulano. Sventolano, alte e tirate, code, gonnelle, fogli e riviste patinate. Dilatano pori, narici, estremità, andature. Intumidano labbra, scorrono nella peluria trasparente fili, riganoli -furtive lacrime a volte, pure. Sgocciolano, e dove sostano per poco, formano pozze che il grande conquistatore aspira, risucchia forte e asciuga. Tecnica millennaria: lui le ubriaca, gonfia di morsi e scortica. Lavora alla sfioritura di quei corpi, li segna, li strapazza. Li atterra al tramonto, quando sparpagliano attorno petali stanchi di rose scompattate.
Non era il giorno giusto. Il successivo sono di nuovo in strada. Sfioccano ancora, molli, sopra l’asfalto molle, confuse nel miraggio che risale evaporando. Spighe di grano a un vento inesistente. Pesci all’asciutto, ondulano boccheggiando.
Forse non sanno -qualcuna forse sì- chi fu la prima, l’unica, vera e sola (ancora ama ripeterlo ai giornali) che dava forma all’acqua appena entrava. Venere irrispettosa, diva di un lungo sogno, giusto allora. Oggi scarseggiano gli uomini all’altezza. Se uno appare, sgorga uno sciacquettio di cosce rosa shocking, scomposte nella fontana più vicina. Pigolano e danno di gomito l’una con l’altra, per far mattina con con Marcelli farlocchi. Attratte a frotte dalla Dolce Vita, le false Anita a me sembrano troppe, zampilli freschi e pure tante zampe di gallina.
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Testi di Francesca Perinelli
Fotografia di Luigi Scuderi