Qualche giorno fa ho avuto l’occasione di assistere alla cerimonia di attribuzione della cittadinanza italiana ad uno straniero nell’ufficio del Sindaco. La cerimonia, invero piuttosto breve e poco enfatizzata, prevede la lettura da parte del Primo Cittadino di brani di legge e, soprattutto, il giuramento dello straniero che acquisisce lo status di cittadino italiano. Poca enfasi dicevo, tanto che lo straniero in questione si è presentato vestito ordinariamente e soprattutto solo, senza farsi o sentire la necessità di farsi accompagnare da familiari e amici, tanto poco, evidentemente, era sentita la solennità del momento. Eppure diventare cittadino italiano per uno straniero che ne fa richiesta dovrebbe essere occasione importante, da condividere con amici e parenti. Invece l’impressione è stata di un atto formale, la cui importanza non è considerata. La cosa più stupefacente è stata, però, la pronuncia del giuramento, letto dallo straniero con un italiano stentatissimo, a tratti incomprensibile.
Credo che si debba dare molta più importanza ad un atto come questo. Il richiedente la cittadinanza dovrebbe presentarsi vestito adeguatamente, rispettoso del rito e delle sue conseguenze anche da un punto di vista formale. Soprattutto, però, dovrebbe conoscere la lingua italiana.
Come può, mi domando, uno straniero diventare cittadino italiano e, quindi, integrarsi con i suoi ormai concittadini se non ne conosce bene la lingua. Il testo da pronunciare è il seguente:
«Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, riconoscendo la pari dignità sociale di tutte le persone».
Poche parole, che dovrebbero essere mandate a memoria, non lette, e pronunciate con un italiano comprensibile. Se lo straniero non lo ritiene così importante forse non è così importante per lui diventare cittadino italiano.
Luca Craia