Non riusciva più a ricordare il momento in cui ogni sillaba era sgocciolata via in una stalagmite di pensieri rabbiosi né quando si era trasformata in uno stupido mantra su cui arrovellava pensieri senza futuro.
Poi, una raffica di dolore più intenso. L’angoscia della perdita le aveva squarciato la carne. Era come impazzita. Il desiderio d’oblio l’aveva spinta a migrare. Ma, inaspettatamente, dentro la sua migrazione, inesorabile, il sedimento del tempo aveva generato un ricordo. Un laccio che la stringeva da più lontano.
Tutto finisce, ma nulla smette mai di essere. Neanche dopo la più devastante disillusione.
E infatti il suo cuore aveva continuato a piangere lacrime di fango. Aveva creduto di essere precipitata sul greto di un inferno senza fiamme. Di giorno il suo disamore galleggiava circondato da corone di ninfee sfiorite. Di notte, mille creature di fanghiglia la accerchiavano, trascinandola sempre più giù, inzuppandole la pelle, scarnificandole i pensieri. Risucchiandola in un antro privo di orizzonte.
Quando le lacrime finirono e gli occhi si erano abituati all’assenza di luce, la tristezza era divenuta così insopportabile che il suo corpo smise di trattenere il passato. L’anello dell’antico amore cadde a terra e lei , quasi senza pensarci, lo infilò alla mano destra, con la punta rivolta verso le sue dita. E mentre lo infilava si sentì pronunciare parole sensuali dentro labbra di vapor acqueo.
Si guardò dentro lo specchio smeraldo e disse piangendo : vieni a me, vieni a me, amore che salvi. Guardava quel pacco verde come fosse la sua pietra filosofale che emergeva da un inghiottitoio. Nessun avrebbe potuto sospettare tanta pulsione verticale dentro un piatto e banale regalo di compleanno. Ma ormai l’ossessione aveva sbrindellato il suo dolore, lasciandole solo una gran sete. Una sete che bruciava dentro il suo sesso. Una sete che le strozzava la mente.
Da giorni, si arrovellava alla ricerca di una coreografia inedita per la sua nuova frenesia. Una smania cieca e triste che le assediava l’anima, ma che sarebbe morta ancora una volta su mani calde e umide, affogando ogni paura dentro pura animalità senza nome.
Dopo aver sistemato il pacco, le sue ballerine blu avevano ripreso a roteare sui pedali, rimbalzando tra i vicoli stretti della città quasi deserta. I ciottoli roventi nell’afa di luglio rallentavano la sua corsa frenetica verso l’inevitabile. Il sole a picco non le dava tregua e nemmeno i suoi nervi. Un calore insopportabile la comprimeva dentro l’asfalto mentre il metallo cromato scottava sotto la gonna, all’altezza delle cosce. Ancora una svolta a destra e poi di nuovo a sinistra. Una noia torrida fatta di oppressione senza scampo le pulsava sotto le tempie. La routine noncurante si era d’un tratto trasformata in uno spasmo contratto al dentro lo stomaco. Senso e desiderio lottavano corpo a corpo, per uccidersi a vicenda. Tutto senza una lacrima. Per questo Piera aveva deciso di darsi ancora un’ossessione. L’ennesima. Con gli occhi saturi di sfinimento, si fermò a bere da una fontanella sotto un arco. La torre dell’orologio batteva le 15 nel vuoto incandescente della piazza assetata d’ombra. L’auricolare muto, lei sempre più impaziente. Amore dove sei? Ho un regalo per te. Non sto più nella pelle. Ma dove sei? Perché non mi rispondi mai? Va bene, amore mio, ti sorprenderò, vedrai.
Ora mancava un'altra cosa fondamentale. Erano da poco iniziati i saldi. Le vetrine tappezzate di scritte fluorescenti, un puzzle scomposto dietro il quale indovinare prezzi illeggibili su merci sistemate nei modi più originali. Zeppe arancioni che assomigliava più a fermaporta stilizzati ciondolavano sui manichini nudi. Una cliente ne aveva appena fatto scivolare una dal supporto di metallo. Assorta nei suoi pensieri, Piera osservava altre strane calzature multicolori gettate alla rinfusa sulla moquette verde. Tutte alla deriva, come zattere incagliate in una palude di indecisioni. Goffa e instabile sopra dei trampoli di sughero colorato, una donna zigzagava tra quei relitti. Piera trattenne un sorriso e inforcò di nuovo gli occhiali da sole. No, non cercava fermaporte né tantomeno scarpe. Le ballerine blu ripresero a roteare sui pedali. Sotto i portici, qualche insegna più in là c’era il negozio che cercava. L’avrebbero riconosciuta dopo anni e anni che non ci entrava più? Ci veniva sempre con sua madre da bambina. Come allora, grossi rotoli di stoffa variegata erano accatastati sulla parete di fondo. Qua e là, si intravedevano le estremità bianche e smangiucchiate dei tubi di cartone attorno ai quali erano avvolte le pezze. Davano l’impressione di poter cadere da un momento all’altro, e invece erano tutte perfettamente incastrate come in una trama provvisoria di Shangai. Un’ondata di colori sembrava poterti travolgere da un momento all’altro. Quante volte aveva temuto di trovarsi sommersa quando il commesso di turno sfilava un rotolo da sotto la pila. Oplà, ecco signora, guardi che bella seta! Senta che morbidezza. Quanta gliene serviva? Piera, assorta nei ricordi d’infanzia, si era messa a fissare trame e orditi. Per un attimo, lo scarto temporale precipitò in un gesto. Scosse la testa come aveva visto fare a sua madre tante volte. No, non sto cercando della seta. . . Molto più semplicemente, mi serve un telo bianco o giallo ma non per farci dei vestiti. Un telo di cotone, sa di quelli per fare lenzuola. In un battibaleno il bancone fu ricoperto di drappi che andavano dal bianco neve al giallino tenue. Sembrava la tavolozza di un pittore, e Piera la scrutava attenta, alla ricerca di quel bagliore, il colore delle nuvole illuminate di luce. La luce che rifrangevano le carni di Lea all’apice del suo desiderio. Sì, questa è perfetta. La sua mano accarezzava un giallo appena percettibile. Quasi color burro. Lo immaginò sul parquet di rovere spazzolato. Bene, lo prendo. No, non serve un pacco regalo. Il pomeriggio inoltrato profumava di erbe aromatiche e limone. Qualche enoteca aveva già aperto in piazza, i primi avventori sedevano ai tavoli versando chiacchiere arancioni dentro calici di spritz. Piera si fermò a crogiolarsi nella luce dorata del primo tramonto. Il calore del ricordo saliva dalla terra mentre un fascio di luce cadeva obliquo e caldo sul suo viso. Anche la sella era ben calda e le sue carni apprezzarono quel tepore mentre pedalava leggera sotto i portici ombrosi e quasi umidi. Il colore dell’oblio. Il caldo e il freddo. Un tremore le brillò in bocca.
Il citofono gracchiò più volte vibrando sull’intonaco fresco. Lea era nervosa. Ora Piera sarebbe salita. Cosa le avrebbe detto?
La porta si aprì. Fu avvolta da un abbraccio quasi violento.
– Dài, cosa aspetti? Apri il regalo.
La stagnola verde cadde per terra frusciando.
– Un cuscino!
– L’ho cercato tanto. Lo volevo proprio così. Viene dal Belgio, sai?
– E questo?! – Esclamò Lea divertita.
– Vieni, dài sbrigati – Piera si era già spogliata – Che caldo qui dentro!
Sul pavimento di laminato irregolare si aprì un telo bianco sul quale Piera appoggiò il cuscino ricamato.
– E ora, vieni a me – sussurrò.
Dalla finestra filtrava una luce bianca e senza tempo.
Bea Ary