Finite in manette altre due figure chiave del clan reggino De Stefano
Il clan De Stefano, uno dei principali sistemi criminali di Reggio Calabria, ha subito oggi una grave perdita: la Squadra Mobile ha arrestato l’avvocato Giorgio De Stefano, uno dei vertici della cosca mafiosa, e Dimitri De Stefano, il fratello del capo dei clan reggini. Oltre a loro, sono finiti in manette in 17.
Estorsione, associazione mafiosa, concorso esterno, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio: questi i reati contestati alle persone arrestate. L’avvocato penalista Giorgio De Stefano era stato condannato in passato per concorso esterno, ma è da sempre considerato una figura eminente del clan che porta il suo cognome. Successore di suo cugino Paolo, assassinato nella guerra di mafia nel capoluogo calabrese, vanta un passato politico a Reggio Calabria: è stato consigliere comunale della Dc. Negli ultimi vent’anni si era occupato della parte finanziaria di tutte le operazioni della cosca De Stefano.
Dimitri De Stefano, invece, ha una storia diversa. Da sempre oscurato dalle figure dei due fratelli Carmine e Giuseppe De Stefano – detenuto al 41 bis nel carcere di Tolmezzo – come spiega il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, “Quando entrambi sono finiti in carcere, lui si è dovuto muovere come rappresentante della famiglia. Siamo in presenza di uno di quei casati di ‘ndrangheta che anche quando i suoi massimi esponenti finiscono in carcere, è in grado di individuare un esponente che continui a rappresentarli“.
Tra gli arrestati, 11 sono finiti in carcere, mentre i rimanenti 7 sono ai domiciliari: anche una donna, Maria Angela Marra Cutrupi, impiegata all’ufficio gip, è finita in manette. L’accusa della donna è di aver passato notizie riservate al marito, anche lui arrestato.
La polizia ha eseguito numerose perquisizioni ed ha attuato un sequestro di beni e società, tra cui diversi bar, per oltre 10 milioni di euro. L’indagine è partita da due attentati compiuti nel 2014 a Reggio Calabria, tra cui la bomba che l’11 febbraio distrusse lo storico bar “Malavenda”.
“A Reggio, chiunque voglia intraprendere un’attività economica o commerciale, non deve rivolgersi soltanto allo Stato o agli enti locali per le relative autorizzazioni amministrative, ma deve ottenere il nullaosta da parte delle cosche che controllano il territorio e che formano il cosiddetto ‘sistema Reggio’” dichiarano gli inquirenti. Nessuna attività può essere avviata senza il consenso delle cosche.
CM