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Claude Courtot – “Scritti insolenti”

Creato il 06 agosto 2013 da Temperamente

Claude Courtot – “Scritti insolenti”

La raccolta edita da WIP Edizioni nel 2012 propone testi scritti da Claude Courtot, pubblicati fra il 1967 e il 1998. Questo autore francese nasce a Parigi nel 1939 e opera nella scia movimento surrealista negli anni Sessanta; fondamentale nel suo percorso poetico è proprio il suo rapporto con il movimento di Andrè Breton, legame la cui natura è approfondita nell’intervista inserita nella raccolta e svolta dal traduttore e curatore Francesco Cornacchia: Courtot afferma di aver sentito una “grande passione per il Surrealismo”, nonostante sia riuscito ad accostarsi ad esso soltanto nei cinque anni che ne precedettero lo scioglimento, ossia dal 1964 al 1969. Per l’autore l’esperienza surrealista sembra quasi aver rappresentato “l’effetto di un destino” che sia riuscito a modificare totalmente la sua visione del mondo. Questa visione è esplicitata negli scritti contenuti nella raccolta Scritti insolenti, che spaziano dalla prima fase letteraria dell’autore, animata dal fervore rivoluzionario ed anarchico tipicamente sessantottino, fino ai testi legati al mondo dell’erotismo e della sessualità.

I primi scritti, come Lavoro, Dai blousons noir alla bandiera nera e Abbasso la Francia!, ritraggono un Claude Courtot completamente immerso nella rivoluzione giovanile del Sessantotto, un Courtot che prende parte alle manifestazioni più audaci e alle lotte più sentite: la penna dell’autore, in questi casi, risulta tagliente, arrabbiata, violenta, carica di un inchiostro amaro, quasi sanguigneo, bastone di uno stendardo di libertà e arma con la quale combattere qualsiasi tipo di compromesso: “No alla partecipazione, no agli accomodamenti amichevoli, no alla maschera elettorale, no alla complicità del padrone e dello schiavo: noi non riconosciamo un popolo di liberti, noi vogliamo un popolo di liberi cittadini”.

Di tutto altro genere è L’attentato, scritto vertente sull’impossibilità di comunicare, teoria sostenuta dall’autore, il quale ritiene che il linguaggio, utilizzato dall’uomo per esprimere gioie e dolori, sia sempre in ritardo rispetto a queste sensazioni; da qui la volontà di svolgere un esperimento con il suo amico Jean-Claude Silbermann, il quale gli propose di scriversi ogni giorno ad un fermo posta, alla fine del “gioco” i due sarebbero andati a ritirare le lettere e le avrebbero lette a turno: il risultato fu così deludente da portare Courtot a pensare che esistesse un vuoto incolmabile fra i due, assumendo le sembianze della realizzazione di un “dialogo fra sordi”. Secondo l’autore la soluzione da apporre alle problematiche sottese alla impossibilità di comunicazione sta nel regredire, nel tornare indietro alla “facilità naturale”, raggiungendo il livello linguistico tipicamente surrealista, ossia improntato sulla liberazione dell’inconscio, senza freni o limiti imposti.

Di grande attrattiva è il racconto intitolato “La voce pronominale”, molto vicino ad un viaggio onirico compiuto nella memoria del protagonista, del quale si conosce poco: si procede soprattutto per percezioni, per sensazioni presenti che ne richiamano altre, vissute nel passato, insieme a desideri riposti in un futuro incerto. Il percorso ambiguo del protagonista del racconto procede, muovendosi fra riferimenti certi, come la villa di Juan-les-Pins, presente in maniera quasi ossessiva, e le immagini sfocate, trafugate da un passato color seppia, seguendo uno sballottolamento continuo, riconducibile ad una teoria filosofica dello stesso autore: “Lui aveva sempre avuto un gusto per situazioni, oggetti e opere ambigue. Gli piaceva che una cosa o un essere permettesse almeno due interpretazioni, lasciasse aperto un ventaglio di significati, proponesse un gioco di possibilità”. È quindi nel contatto con la dimensione onirica o ancora nelle riflessioni sul linguaggio che si può individuare il filo rosso che conduce Courtot a toccare quello scandaglio dell’inconscio che è riconoscibile nel movimento surrealista di André Breton.

La raccolta procede introducendo dei racconti legati al tema della sessualità, come Giove e Semèl e le brevissime Variazioni parallele su un triangolo di ardesia, contenute in Ah, ti dirò mamma e accompagnate dai disegni di Jean-Marc Debenedetti; questi ultimi scritti appaiono come delle velocissime riflessioni sul ventre femminile, una V carica di significati ed evocazioni interessanti, su cui l’autore si sofferma realizzando le più mirabolanti ed contorte meditazioni.

La raccolta curata da Francesco Cornacchia, si conclude con il destabilizzante racconto di Courtot intitolato La ringhiera, che unisce fatti realmente accaduti, come il suicidio della vicina di casa del protagonista, la Signorina B., riflessioni dal gusto altrettanto amaro sul periodo in cui tutto questo accadeva, ossia i vicinissimi anni ‘90 del XX secolo.

Scritti insolenti permette al lettore di conoscere un autore francese contemporaneo, quasi sconosciuto in Italia e invece meritevole di essere scoperto, letto ed apprezzato. La scrittura di Courtot ha la capacità di cambiare come il colore della pelle di un camaleonte, a secondo del tema trattato nel racconto e del tipo di genere che l’autore sceglie di realizzare, ma nonostante ciò la sua impronta resta, sbrogliando un filo di lana a cui aggrapparsi in questa raccolta che propone racconti tanto diversi, eppure accomunati dalla stessa sensazione di non poter mai essere delusi dalla penna esperta dell’autore. La lettura è agevolata dall’ottima traduzione, sicuramente ardua per uno scritto complesso come può essere “La voce pronominale”, e dall’introduzione alla raccolta, che permette di stringere la mano per la prima volta a Claude Courtot senza aver timore e di fare, così, la sua conoscenza, agevolata dall’interessantissima intervista che la segue, conducendo il lettore a sentire quasi la voce di questo surrealista capace di “riformulare il reale”.

 

Glenda Gurrado

 

Claude Courtot, Scritti insolenti, WIP edizioni, 203 pp. Euro 8,00


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