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Clima mite all’italiana…presto sarà leggenda

Creato il 15 ottobre 2013 da Molipier @pier78
Clima mite all’italiana…presto sarà leggenda Genny Sangiovanni Genny Sangiovanni vedi altri articoli 15 ottobre 2013 13:30

Se è vera la triste notizia che i disastri naturali in Asia, nel Pacifico, o ai poli, vissuti da davanti la televisione all’ora di cena non fanno più scalpore e lasciano un senso di impotenza allora neanche gli ultimi documenti sugli effetti del cambiamento climatico potrebbero essere interessanti. Se però è vero che (purtroppo) ci si occupa e preoccupa molto di più per i disastri che avvengono nel nostro giardinetto nazionale allora gli ultimi documenti sugli effetti del cambiamento climatico potrebbero essere interessanti.

Infatti alcuni esperti riuniti a Lecce hanno illustrato come potrebbe diventare l’Italia nei prossimi 40 anni (o meno). Niente allarmismi, si fa tanto per dire. La stagione dei roghi (quella che coincide con le granite sotto il sole e le creme per l’abbronzatura) si allungherà, aumenteranno le ondate di calore e le precipitazioni brevi (che si faranno più intense). Il rischio idrogeologico si farà più grande.

E si, perché se il mondo è uno solo, i mutamenti ambientali colpiscono anche l’occidente ed il nostro Paese. Gli ultimi studi sull’impatto ambientale in Italia sono stati presentati dalla Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC) durante la Prima Conferenza Annuale a Lecce e riguardano il futuro delle nostre coste, montagne e pianure: un campanello d’allarme per chi gestisce il territorio, le risorse ed i rischi naturali.

Che la temperatura cambierà è risaputo ma cosa comporta questo nello specifico?

Prima di tutto l’aumento della temperatura comporta l’aumento delle massime principalmente in estate con il relativo aumento degli incendi. Pierpaolo Duce (del CNR di Sassari) ha condotto uno studio sulla Sardegna settentrionale mostrando che entro i 2050 la stagione degli incendi (tra Giugno e Ottobre) si allungherà di poco più di una settimana. L’eventualità di questo effetto “genererà difficoltà nella gestione del controllo degli incendi”, spiega. Entro il 2100 la stagione potrebbe subire un allungamento di 30 giorni.

Lungo la catena alpina l’aumento della temperatura potrebbe essere tre volte superiore alla media europea, spiega Camilla di Bari dell’Università di Firenze, comportando una perdita fino al 16% dei suoi pascoli. Le più rare specie erbacee e di alta montagna spariranno ed aumenteranno gli eventi climatici estremi (precipitazioni intense ma brevi che acuiscono il rischio idrogeologico).

Paola Faggian (del RSE di Milano) spiega inoltre che le ondate di calore, come quella dell’estate del 2003, aumenteranno di circa il 10-15% da metà secolo con un grande impatto sulla salute e sul settore energetico. I settori produttori di energia termo ed idroelettrica soffriranno la mancanza di risorse idriche oltre per l’alta temperatura dell’aria che influenza la produzione (le centrali a turbogas diminuiscono la loro potenza nei giorni di aria calda, proprio in coincidenza della maggiore richiesta di energia per l’utilizzo di condizionatori).

La scarsità di risorse idriche, ovviamente, avrà un impatto anche sulle falde che continueranno ad abbassarsi di livello. Questo perché la regione mediterranea (ad eccezione per le Alpi in inverno) vivrà una diminuzione delle precipitazioni fra il 10% in inverno ed il 30% in estate entro il 2100 comportando, secondo uno studio di Silvia Torresan (dell’Università Cà Foscari di Venezia), una riduzione delle falde acquifere del 7% (pari a -175 milioni di metri cubi) in Veneto e dell’11% (-335 milioni di metri cubi) in Friuli. Tale fenomeno avrà ampie ripercussioni sul settore agricolo.

Altra conseguenza si avrà sul livello del mare, il suo aumento considerato certo lascia incerti sul ritmo che varia molto in base alla costa in analisi, questo secondo lo studio di Piero Lionello dell’Università del Salento e CMCC (Mediterranean Center on Climate Change). Ad esempio, il nord Adriatico subirà un’espansione maggiore di 15cm provocando una “maggiore frequenza di potenziali inondazioni delle regioni costiere e dei danni causati dalle mareggiate” che aggraveranno problemi già esistenti causando “l’inondazione di alcune aree di piana costiera depresse, forti problemi di erosione costiera per tutte le coste basse e sabbiose, infiltrazioni di acqua salata nelle falde costiere di acqua dolce e danni alla biodiversità”.

Il nuovo rapporto dell’IPCC include modelli di azione regionali (non più solo globali) aprendo una nuova fase nello studio dei cambiamenti climatici e nell’utilizzo di strumenti per la mitigazione e l’adattamento al mutamento del clima. Donatella Spano, dell’Università di Sassari e dell’Euro-CMCC e presidentessa della SISC, spiega che è “ora possibile studiare la penisola italiana con maggiore dettaglio ed accuratezza, regione per regione” potendo attendersi dei benefici in alcuni settori agricoli quali l’espansione della coltivazione dell’olivo e nella coltivazione dei cereali (che sfruttano la CO2 in atmosfera come fertilizzante).

La Conferenza di Lecce mostra diversi scenari futuri considerando la lunghezza della penisola ed i vari climi che si trovano e lancia un messaggio chiaro: il cambiamento climatico è in atto ma è possibile agire e prendere provvedimenti per ridurne gli impatti negativi.

Fonte:

http://www.repubblica.it/ambiente/2013/09/27/news/ipcc_2012_esperti-67380632/

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