Bisogna inserirle nei modelli climatici
Axel Lauer da sempre lavora fra le nuvole. Probabilmente ispirato dal cielo delle Hawaii, si occupa, presso l’Università delle Hawaii a Manoa, di chimica dell’atmosfera, di inquinamento dell’aria e di modelli climatici.
Quante nel nostro futuro? (Cortesia: R. Insolia)
L’irraggiamento solare, la temperatura delle acque e dell’atmosfera, la pioggia e la siccità sono tutte variabili riconducibili al clima e quindi all’ambiente in cui viviamo. Sarebbe certamente interessante poter prevedere l’andamento climatico dei prossimi anni. E sarebbe importante capire gli effetti dell’uomo e dell’urbanizzazione sul clima. Tuttavia la natura è un sistema complesso. Ecco allora che ci viene in aiuto il modello climatico globale: uno strumento di tipo matematico che considera molteplici parametri chimico-fisici a livello dell’atmosfera e degli oceani. In questo modo i ricercatori possono fare previsioni sul futuro del nostro pianeta. Soprattutto in merito al tanto dibattuto riscaldamento globale.
Lauer, insieme a tre colleghi dell’Università delle Hawaii e a Ralf Bennartz, dell’Università del Wisconsin a Madison, ha deciso di rivolgere il suo occhio da scienziato al cielo e in particolare alle nuvole. Infatti le nuvole possono dirci molto. Sappiamo per certo che quelle più alte nell’atmosfera, gli altocumuli, sono in grado di trattenere il calore. Gli stratocumuli, più bassi, tendono invece a respingere i raggi solari, raffreddando quindi la superficie terrestre. Inoltre Amy Clement, dell’Università di Miami, ha dimostrato in un articolo pubblicato l’anno scorso su “Science” come le nuvole nella bassa atmosfera possano funzionare da termometro. Infatti la presenza degli stratocumuli si riduce quando la superficie dell’Oceano Pacifico si riscalda per effetto dell’aumento dei gas serra. E non stiamo parlando di poca cosa. Al raddoppiare della concentrazione atmosferica di anidride carbonica, la temperatura può infatti aumentare di un valore fra 2 a 4,5 gradi, come descritto nel rapporto del primo gruppo di lavoro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change.
Di recente Lauer ha pubblicato con i suoi colleghi un articolo sul “Journal of Climate” con i risultati ottenuti applicando agli stratocumuli di tipo oceanico l’International Pacific Research Center Regional Atmospheric Model (iRAM). iRAM è un modello climatico elaborato proprio da Lauer, che l’ha descritto l’anno scorso in un articolo pubblicato sul “Journal of Geophysical Research”. Solitamente queste modellizzazioni sono applicate a tutto il pianeta. iRAM invece è stato espressamente sviluppato per la zona orientale dell’Oceano Pacifico e per il Sudamerica. Per prima cosa il modello è stato validato simulando l’andamento della copertura nuvolosa negli anni fra il 1997 e il 2008. Contrariamente ad altri 16 differenti modelli testati, iRAM è riuscito a simulare perfettamente i cambiamenti dell’assetto nuvoloso, anno dopo anno. I ricercatori hanno quindi delineato lo scenario climatico nei prossimi 100 anni. Secondo iRAM il futuro sarà caldo, ancora più caldo, e con alti livelli di anidride carbonica atmosferica. Gli stratocumuli si ridurranno del 10 per cento e il Sole irraggerà sempre di più la superficie del nostro pianeta.
Dunque le nuvole sembrano diradarsi al nostro orizzonte, ma il futuro non appare facile. Dal punto di vista strettamente scientifico è comunque importante sottolineare i limiti che ancora dimostrano gli attuali modelli matematici. Le nuvole vanno e vengono e possiamo sempre sperare in un colpo di vento, ma ovviamente qui non stiamo parlando di che cosa fare in una giornata uggiosa. Stiamo piuttosto guardando al futuro del nostro pianeta. E’ essenziale perciò investire nella ricerca e sviluppare modelli sempre più affidabili per comprendere al meglio i cambiamenti climatici ai quali stiamo andando incontro e di cui in buona parte siamo responsabili.