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"Close-up"

Creato il 17 giugno 2010 da Pickpocket83

 

Spesso sulle pagine virtuali di questo blog si è indegnamente scritto qualcosa su Werner Herzog, sul suo enorme (in tutti i sensi) corpus filmico e sulla geniale capacità di sintesi che Herzog è in grado di operare tra “fiction” e “non-fiction”. Una capacità, un dono talmente unico e misterioso, da originare in molti casi (“Grizzly man”, “Ignoto spazio profondo”, “Incontri alla fine del mondo”) correnti semantiche folgoranti, aliene a tutto il cinema che siamo abituati a vedere e a sentire. Le abissali profondità delle acque polari nelle mani di Herzog diventano gli inarrivabili cieli oscuri dell’oltre-spazio. Persino il suono della “natura”, il verso dei leoni marini captato dall’orecchio umano attraverso lo spessore del ghiaccio, non sfugge a questa fatale distorsione: anche quella è una messa in scena. Tutta l’immagine degli scienziati che, in “Incontri alla fine del mondo” poggiano l’orecchio sul ghiaccio per captare il verso dei leoni marini, è una pura coreografia, un falso. Nel 1997, in “Little Dieter needs to fly” Herzog costringe, in un altro momento memorabile del suo cinema, il veterano di guerra americano Dieter Dengler a re-interpretare, negli stessi luoghi dove i fatti sono realmente accaduti, il suo atterraggio di fortuna nella giungla del Laos e la sua cattura ad opera dei guerriglieri. Quasi 10 anni dopo questo documentario (che Herzog considera uno dei suoi migliori film di fiction), come una crisalide che si trasforma in farfalla, ha generato “Rescue Dawn”, un vero (?) film di fiction basato sulla vicenda di Dieter Dengler, qui impersonato da Christian Bale. In “Grizzly man” i livelli di sovrapposizione/stratificazione fiction/non-fiction sono così articolati da diventare inscindibili, e quindi estremamente complessi da analizzare. Film come questi non trovano corrispettivi, con tutta probabilità, in nessuna altra cinematografia. Con una eccezione. Abbas Kiarostami nel 1990 (p.s. la filmografia di Kiarostami è ricchissima: comincia nel lontano 1970, con opere ignote al pubblico occidentale e forse irreperibili) gira “Close-Up”. Un primo piano su una vicenda realmente accaduta in Iran, e che, rintracciata da Kiarostami in un trafiletto di cronaca, deve aver avuto sul regista del “Sapore della ciliegia” un impatto devastante. Un uomo, poverissimo, un paria ultimo tra gli ultimi, si spaccia per il regista Mohsen Makhmalbaf con una ricca famiglia borghese pur di ottenere considerazione, stima e fondi per la realizzazione di un fantomatico film, da girare nella casa dei suoi ospiti. L’uomo viene facilmente ricondotto alla sua vera identità (ammesso che egli ne abbia una) attraverso una breve indagine, e portato in tribunale per questo sua tentata “frode”, incomprensibile nel suo movente profondo agli occhi della maggior parte delle persone. Caduto “il velo che copre l’arte” Kiarostami gira il suo film ri-mettendo in scena i protagonisti della vicenda (il falso Makhmalbaf e il vero Makhmalbaf), ricostruendo per la telecamera gli eventi accaduti e interrogando, fino in fondo, il volto del suo straordinario protagonista. Un vero eroe positivo del cinema, che di cinema vive e sogna, che nel cinema intravede la possibilità concreta di un riscatto sociale individuale e collettivo, proiettato nella dimensione (volontaria e inconscia, insieme) di uomo con la macchina da presa (dietro? davanti? dentro?) che sceglie di recitare il ruolo del regista. Emblematica sintesi, teorica e politica, di inarrivabile potenza. Copia conforme all’originale filmata da Kiarostami come attraverso un vetro, sottilissimo e invisibile.


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