I Wachowski sono tornati. Nel nostro universo, a una notizia come questa, al cinefilo medio si drizzerebbero i capelli e subito scapperebbe urlando dileguandosi all'istante. Io però non sono un cinefilo, non sono neanche tanto medio, e il massimo che ho fatto, dopo aver visto il trailer di Cloud Atlas, è stato storcere la bocca e sospirare. "Chissà". Poi finalmente ieri ho visto il film dopo averne letto e sentito parlare non bene ma benissimo e finalmente ho capito: questo lungometraggio di quasi tre ore, suddiviso su sei piani temporali, non è stato girato nel nostro mondo ma arriva da un universo parallelo. I fratelli Wachosi che lo hanno girato non sono i registi che tutti conosciamo, quelli che ci hanno dato anni addietro il paraculo Matrix (che a me non è mai dispiaciuto, il primo) e l'orribile Speed Racer. Quel che ci ritroviamo davanti in questa realtà parallela e indefinita è splendidamente incredibile. Incredibile nel vero senso della parola, perché lo si guarda e non ci si crede, ci si tira pizzicotti alle guance e si rimane con gli occhi (e le orecchie) spalancate di fronte a tanta magnificenza.
Cloud Atlas è un film di fantascienza tratto dal romanzo omonimo di David Mitchell, scrittore inglese che ha vissuto in Giappone, Irlanda e Italia. Un film tedesco ma anche americano, costato 100.000.000 dollari e finanziato un po' da tutti perché i soldi sembravano non bastare (inizialmente sarebbero dovuti essere 140.000.000), le cui riprese sono durate quattro mesi e sono state effettuate parallelamente da due troupe diverse in giro per il mondo. Un delirio o, più semplicemente, la più grande produzione cinematografica che la Germania - e forse l'Europa intera - abbia mai ospitato. Alla regia non ci sono solo Lana e Andy Wachowski ma anche certo Tom Tykwer, regista tedesco che il pubblico ricorda principalmente per due film: Lola Corre e Profumo. Uno che quando lo senti nominare non ti fa certo venire l'acquolina alla bocca, anche quando capisci di chi si tratta.
Ho detto film di fantascienza ma molti non lo riconosceranno come tale e in effetti la definizione è limitante e gli va stretta: Cloud Atlas è un diamante dalle molte facce e sfaccettature che si libra libero nel cielo divincolandosi dalle categorie e dalle restrizioni. Sei storie che si svolgono senza una connessione chiara su sei piani temporali - 1839 - 1936 - 1972 - 2012 - 2144 - 2321 - alternandosi e legandosi tra loro in un universo regolato dalla teoria del caos e dall'effetto farfalla. Perché quel che succede in un epoca si riversa in un'altra, ogni scelta ha le proprie conseguenze e tutto ha senso solo se visto nell'ottica di passato, presente e futuro nel suo insieme.Tra serio e faceto, tra violenza e stucchevole romanticismo, Cloud Atlas è un'opera imperfetta che vive dei personaggi che racconta. Ma, lo ripeto sempre, la bellezza è imperfezione. Ci si perde nell'immensità dell'esistenza e nella complessità di trame e sottotrame, temi e sottotesti come l'amore, le minoranze e il razzismo. Globalmente parlando. Omosessualità, schiavitù, vecchiaia e totalitarismo. Si fondono i generi (fantasy, avventura, action, noir, epopea e distopia), si interscambiano le parti. Un gruppo di attori impegnati in interpretazioni monumentali che di certo non ti aspetti. Tipo Tom Hanks, che più invecchia e più diventa bravo, che si trasforma da guerriero a scrittore/criminale ad avaro medico truffatore. Oppure Halle Barry, bellissima giornalista d'assalto e poi preveggente messianica. C'è persino un inedito e viscido Hugh Grant e una Zhou Xun clone rivoluzionario traslata in divinità post-apocalittica. C'è una colonna sonora spettacolare incarnata nelle figure di Ben Whishaw e Jim Broadbent, anche editore/narratore di uno dei segmenti. Ci sono diversi stili di narrazione e diversi approcci stilistici, riferimenti meta-cinematografici e cinematografici. Citazioni e autocitazioni. Il tutto fotografato da John Toll e Frank Griebe, più volte collaboratore di Tykwer. Probabilmente Cloud Atlas non esiste. Probabilmente tutti quelli che lo hanno visto in realtà lo hanno solo sognato. Cloud Atlas è un universo onirico fatto di poetiche visioni e inquietanti apparizioni, in cui è bello perdersi anche quando fa male con la violenza del passato o l'amarezza del futuro. Guardare questo film vuol dire non credere ai propri occhi e rimanere sospesi per quasi tre ore. Tre ore. Stiamo parlando di un miracolo. Cloud Atlas è una sinfonia di movimenti legati tra loro secondo la logica delle emozioni, musica che narra di amore in tutte le sue forme senza ipocrisia né vergogna. Musica (di Johnny Klimek, Reinhold Heil e Tom Tykwer). Ti spiazza e ti lascia lì a raccogliere i cocci della tua anima in frantumi. Cloud Atlas è un poema epico che esplode visivamente nelle iridi con la forza dell'immaginazione. Racconta di eroi, divinità e battaglie. Di amori e tragicomiche esperienze. Un cerchio che si chiude e che racchiude, dall'utero alla tomba, l'esperienza di un'umanità intera che vive, cresce, si muove e diventa altro restando sempre se stessa. Che impara dai propri errori anche se in modo impercettibile. Entropia. Noi non siamo soli perché siamo parte di un sistema più grande e condividendolo condividiamo le esperienze, le vittorie e le sconfitte. Persino le gioie e i dolori. Non ce ne accorgiamo perché il nostro sguardo è intrappolato nella contingenza. Per questo Cloud Atlas è l'atlante delle nuvole, l'unico modo per osservarci e trovare, nel caos, un senso.
Ma Cloud Atlas non piacerà a tutti. Non piacerà a molti. Ed è giusto così. Deve essere così. Esistono sensibilità diverse e diversi modi di vedere le cose. Ma c'è un'unica, grande verità: siamo di fronte ad un film immenso. Troppo grande (nel bene e nel male) per racchiuderlo nel post di un blog. Se posso permettermi vi do un consiglio: leggete tra le righe. Tanto di questa quanto delle altre recensioni. Poi vedete il film e tirate le vostre somme. Io le mie le ho tirate sin dall'immediato post visione e ho deciso: voglio perdermi in questo film ancora e ancora. E in questo viaggio non voglio essere disturbato.