A proposito di Cloud Atlas ci eravamo lasciati qualche tempo fa con un interrogativo: non si tratterà mica di una "incoerente vaccata"? Devo ammettere che all'ingresso in sala (brulicante di pubblico, non sarà che la crisi del box office è dovuta alla carenza di titoli accattivanti?) la mia vocina interiore mi suggeriva il dubbio di aver comprato un biglietto per tre ore di delirio senza capo nè coda, e invece (bisogna essere pronti a ricredersi da quello che suggerisce la vocina interiore) dallo spegnersi al riaccendersi della luce non ho mai sentito la voglia di essere da un'altra parte, immerso in una storia frammentata ma coerente.
Susan Sarandon
Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo Cloud Atlas dello scrittore inglese David Mitchell, opera divisa in sei capitoli ambientati in epoche diverse, per riassumere diciamo che è un'opera che parla di reincarnazione e di prevaricazione.
Cloud Atlas si è guadagnato la nomea del mito da ben prima dell'uscita: il progetto, estremamente ambizioso, ha richiesto l'esorbitante budget di oltre cento milioni di dollari, le difficoltà a reperire l'intera cifra necessaria hanno fatto sì che la lavorazione sia stata più volte interrotta. I registi si sono spartiti il lavoro e le locations: Tom Tykwer ha girato tre degli episodi: i due girati nel secolo scorso e quello ai giorni nostri, mentre Andy e Lana Wachowski si sono occupati di quello ambientato nell'800 e dei due ambientati nel futuro.
Jim Broadbent e Ben Whishaw
I sei episodi sono ambientati come si è detto in epoche diverse, ciascuno di essi è dedicato ad una diversa declinazione del concetto di prevaricazione. Gli attori compaiono in ruoli più o meno importanti in tutti gli episodi contribuendo a mantenere il "filo concettuale" che lega tutte le vicende. Il primo episodio è dedicato al razzismo ed ambientato verso la metà dell'800, vi si narra di un giovane avvocato in viaggio per mare che aiuta un clandestino nero ad essere accettato a bordo e ne nasce una solida amicizia. Nell'episodio successivo, dedicato all'omofobia (con un'accenno di antisemitismo nel personaggio di Halle Berry), un giovane compositore rifiuta di farsi ricattare dall'anziano e famoso musicista presso cui lavora, Il terzo capitolo, a tema manipolazione dell'opinione pubblica vede una avvenente giornalista alle prese con un complotto per creare ad arte un disastro atomico.
Hugh Grant
L'episodio ambientato nel 2012 ha come sfondo la discriminazione verso i vecchi; vede un'anziano editore in difficoltà fatto rinchiudere dal fratello (uno Hugh Grant superlativo) in un ospizio-lager dal quale tenterà di evadere in compagnia di altri avventurosi vecchietti (la comica finale è meravigliosa). Nell'episodio ambientato nella futura NeoSeul (dedicato allo sfruttamento lavorativo) una replicante acquista coscienza di sè e tenta di cambiare il sistema in compagnia di un gruppo di ribelli, nell'episodio finale ambientato in un imprecisato futuro con il mondo tornato ad una sorta di preistoria un selvaggio ma affettuoso padre scopre che la dea in cui ha sempre creduto era in realtà una persona in carne ed ossa e lotta contro il proprio demone interiore. Quest'ultimo episodio è stato da molti interpretato come un attacco alla religione, ma io ci vedo piuttosto la lotta contro la parte oscura di sè, per liberarsi dalla convenzione e dall'omologazione.
Tom Hanks
Della regia si è detto, due troupe quella americana e quella tedesca hanno lavorato in parallelo, il compito di dare unitarietà e ritmo ad un materiale di partenza così disomogeneo è stato affidato ad Alexander Berner (Alien vs Predator, 10.000A.C., I tre moschettieri del 2011) il cui montaggio è magistrale: mentre nel romanzo gli episodi sono raccontati per intero uno dopo l'altro, nella versione cinematografica si salta con volo pindarico da un tempo all'altro, e da una storia all'altra seguendo il fluire delle idee e dedicando tempi e mettendo gli accenti là dove serve per tenere sempre alta la soglia di attenzione.
Trattandosi sostanzialmente di sei corti assemblati in un'opera più maestosa, tutta la crew produttiva merita il plauso per la convinzione con cui ha svolto il proprio lavoro; tutto dalla scenografia ai costumi è curato nel dettaglio e fa sì che lo spettatore sia sempre in grado di capire immediatamente in quale momento ed in quale storia ci troviamo.
Il make-up la fa da padrone, regalando facce sempre diverse ai vari personaggi, anche se devo dire che la scelta di "orientalizzare" Jim Sturgess e Hugo Weaving, così come quella di occidentalizzare Doona Bae nel primo episodio, anche se comprensibile per mantenere il concetto di ricorrenza della reincarnazione, dà luogo a risultati piuttosto ridicoli.
Halle Berry e Keith David
Alcune scene sono già culto: quella in cui lo scrittore alla festa sorprende il critico, quella al pub nel quale i vecchietti in fuga trovano rifugio, quella dove il clandestino Autua lotta per la vita mostrando come si fa a spiegare la vela.
Tykwer ed i Wachowski giocano con i generi, passando dalla black comedy alla fantascienza, dall'azione allo storico al postatomico mischiando in continuazione le carte con citazioni (ed autocitazioni: tutta la parte dei replicanti di NeoSeul è una possibile rilettura di Matrix), tuttavia, nonostante allo spettatore sia richiesto di cambiare in continuazione il contesto ed i vari episodi siano stati girati in modo completamente disgiunto, il film ha una sua solidità che aiuta a tenere il filo del discorso, dopo un inevitabile momento di iniziale disorientamento.
David Gyasi e Jim Sturgess
Entrato prevenuto, devo dire che sono uscito cogitabondo: anche se il film non mi ha entusiasmato, non si può non riconoscergli capacità tecnica (della quale però non ho mai dubitato), ed il pregio di andare dritto al punto senza perifrasi. Tuttavia, una costruzione (ed una produzione) così colossale è al servizio di un messaggio piuttosto puerile, si tratta insomma di un film più complicato che complesso, tutto incentrato sulla risposta più che sulle domande. Non ci ho trovato alcuna traccia di dubbio, di ambiguità, di riflessione, il che se a spettatori più giovani di me può forse apparire un pregio, ad un occhio più maturo ne fa un film non inconcludente ma un po' superficiale. Intendiamoci, il messaggio non è sbagliato, ma tre ore piene per sentirsi ripetere più volte (quasi che gli autori volessero essere ben sicuri che abbiamo capito) che il bene ed il male che si fanno restano, modificando il mondo da uno dei mille possibili a quello reale mi pare restare un po' sulla superficie, oppure mirare ad un pubblico a cui la vita non ha ancora imposto il compromesso. Per chiudere: le tre ore passano senza fatica, i fratelli Wachowski (ed il loro sodale Tykwer) quando vogliono sanno come fare un bel film. Ne sono uscito dicendo "tutto qui?" però poi ci ho ponzato su per qulache giorno. Può darsi che nel film ci sia qualcosa di più di quello che colpisce l'occhio, vale comunque il prezzo ed il tempo spesi per vederlo.
Doona Bae e Jim Sturgess
2012 - Cloud Atlas
Regia: Andy & Lana Wachowski, Tom Twiker
Montaggio: Alexander Berner
Fotografia: John Toll, Frank Griebe
Scenografie: Hugh Bateup, Uli Hanisch
Costumi: Kym Barrett, Pierre-Yves Gayraud