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Cloud Nine - Nella foresta (I parte)

Da Lerigo Onofrio Ligure @LerigoOLigure
Parlando con i coloni che si erano stabiliti su quel pianeta, la foresta era l’argomento più discusso: c’era un’infinità di persone che grazie al legname aveva fatto fortuna, un’altra buona parte dei coloni di J’aa’Ol aveva lucrato sull’edilizia. Persino l’avamposto principale del pianeta era diventato una vera e propria città, grazie all’attrattività della foresta che popolava l’unico continente abitato del pianeta. Prima dell’arrivo dei K’Thor e delle loro macchine per il terraforming, J’aa’Ol era stato un mondo foresta, i tre continenti del pianeta erano ricoperti per lo più da alberi massicci e tanto antichi da rivaleggiare con le sequoie terrestri. L’opera dell’allora impero K’Thor aveva trasformato il più piccolo dei tre continenti in una serie di terrazzamenti più o meno aggraziati, innalzando una catena montuosa per costruirci sopra un’immensa fortezza. Le imponenti foreste di quel continente erano poi state sostituite con degli altipiani spogli e poco appariscenti, perfetti per ospitare le città provinciali, a valle alcuni agglomerati urbani prettamente agricoli fornivano cibo e prodotti da smerciare con altri mondi meno adatti alle colture. Tutto in nome di un impero che si estendeva per decine di sistemi stellari. Si disse Selene odiando il silenzio innaturale di quel pianeta.
C’era una buona ragione se l’unico rumore che si percepiva fosse il sospirare del vento tra i rami: dopo la caduta delle fortezze K’Thor e la conquista da parte dei Mutanti, J’aa’Ol era stato vittima di un secondo e più traumatico cambiamento. Come prima cosa i Mutanti avevano braccato tutti i grandi predatori, sterminandoli e sostituendosi in tutte le nicchie evolutive possibili, poi era stato il turno degli uccelli e delle ultime forme di vita animale, fino a mettere in pericolo anche la sopravvivenza degli insetti. A quel punto era arrivato il momento delle stesse foreste e mentre nei continenti salvaguardati dai K’Thor la minaccia dei Mutanti si allargava a macchia d’olio, nel continente che secoli prima ospitava la sede della scuola del commercio, la situazione sembrava andare avanti a rilento, complice il fatto che i precedenti inquilini avessero portato una flora completamente diversa da quella indigena. All’arrivo della flotta xatrana e dopo che i Mutanti avevano incominciato il lento lavoro di devastazione anche nell’ultimo continente, la foresta di quel mondo era un miscuglio più o meno eterogeneo di vegetazione, erede di due mondi completamente diversi e pertanto l’unica ad aver resistito indenne all’occupazione dei Mutanti. Gli eserciti xatrani e K’Thor avevano attraversato quelle foreste sotto i rovesci torrenziali di una stagione delle piogge artificiale, foraggiata dallo stesso microclima che il parassita dei Mutanti aveva aiutato a creare nei secoli. L’offensiva delle truppe di liberazione aveva raso al suolo interi ettari di foresta contaminata negli altri continenti, bonificando la maggior parte della vegetazione e ricongiungendosi alle guarnigioni di Keeper Hill e Council. La manovra aveva portato a una vittoria già dopo i primi anni di guerra, purtroppo debellare il parassita nella foresta morente e nelle pianure non aveva scalfito il dominio dei Mutanti nel sottosuolo. Proprio l’ultima offensiva portata avanti da una forza condivisa di entrambe le razze aveva permesso di far crollare la rete di cunicoli e impedire ai Mutanti di muoversi con facilità. Almeno così dicevano i libri di storia. La realtà era molto diversa: durante l’assalto finale, un commando di agenti segreti tra cui lo stesso capo di Selene era penetrato oltre le linee nemiche, uccidendo la creatura che comandava le operazioni dei Mutanti sul pianeta, interrompendo la comunicazione tra quelle creature e il resto della collettività. La vittoria, anche se non immediata, aveva dato i suoi frutti in pochissimo tempo, facendo rinascere la foresta ibrida del continente dove sorgevano gli avamposti xatrani e K’Thor e ridando speranza al pianeta, arrivato all’orlo del collasso. Voltandosi alla direzione da cui provenivano, era praticamente impossibile distinguere qualcosa nella boscaglia, persino il cielo sembrava oscurarsi, ostruito dalle piante e dal fogliame dei rami, come se quei trent’anni di relativa pace potessero aver garantito alla vegetazione il tempo sufficiente a cancellare le ondate di sbarchi, le raffiche delle armi e i bombardamenti da parte dei velivoli xatrani. Era come se quel luogo sapesse di avere poco tempo, se crescesse con rapidità per timore di subire un’altra invasione. Avere a disposizione quell’immensa officina di campioni biologici aveva spinto moltissimi a cercare un segno particolare in quel genoma: la prova che quella vegetazione potesse resistere al parassita, ma inutilmente le varie squadre di scienziati avevano preso i loro campioni per poi scomparire nella sicurezza di un laboratorio della capitale. Squadra dopo squadra, incuranti della pericolosità dei Mutanti e delle forze xatrane che cercavano di debellare fino all’ultima creatura superstite, alcuni erano stati abbastanza incoscienti da scendere fino nei tunnel, ma di quei pazzi che credevano di riuscire a controllare il simbionte dei Mutanti, non era tornato nessuno. La squadra di Selene, benché considerata dai militari alla stregua delle precedenti, aveva ricevuto il benestare del Governatore Ryle e di altre figure di spicco dell’amministrazione xatrana; quello era il motivo per cui le truppe di Gurevich si erano decise ad accompagnarli in quella prima esplorazione. Con sommo divertimento di Selene e degli altri agenti, i due Caporali e il Sergente che il comandante di Keeper Hill aveva assegnato loro erano più preoccupati di salvare la pelle, che interessati a difendere le teste d’uovo. D’altro canto gli agenti segreti non avevano alcun bisogno di protezione e se Roman era l’unico armato con un fucile mitragliatore, tutti gli altri portavano pistole ad energia e abbastanza caricatori da alimentare le pistole di una compagnia intera. Infine Pratt portava con se tutta la loro scorta di armamenti, chiusa in uno dei tanti astucci in dotazione al furiere. Come Selene sapeva e come speravano anche i soldati, non ci sarebbe stato alcun pericolo finché fossero rimasti lontani dagli ingressi nel sottosuolo, ma benché Selene avesse studiato l’ultima rilevazione dai sensori orbitali, era impossibile dire se i Mutanti avessero tentato di aprire altre vie alla superficie, del resto quelle dannate creature avevano compreso subito la forza degli attacchi a sorpresa, specializzandosi nell’aprire contemporaneamente due o più tunnel per il sottosuolo, tentando di dividere le forze dei difensori per colpirle con rapide sortite. Quella mattina però la squadra di Selene sarebbe scesa lungo una delle vie più trafficate, la stessa che portava direttamente a Camp Thereunder, il più grande tra gli avamposti che K’Thor e xatrani avevano costruito nelle profondità di J’aa’Ol, con il tentativo di debellare definitivamente la minaccia Mutante. Per quel motivo erano tutti abbastanza rilassati, il fortino avrebbe visto l’ennesima squadra di scienziati arrivati per farsi ammazzare dai Mutanti, qualcuno avrebbe fatto notare che erano scortati da tre soldati di Gurevich, qualche K’Thor si sarebbe offeso che non era stata mantenuta la regola non scritta di inserire un alieno nella squadra, ma alla fine dei giochi Selene avrebbe avuto abbastanza riservatezza per impartire gli ordini necessari ai suoi uomini, facendo infiltrare Gill Rods nei sistemi del controllo sotterraneo. Tutto questo per avere dalla nostra gli occhi di un intero pianeta. Pensò Selene sospirando rumorosamente, come per attirare l’attenzione del suo infiltrato, facendogli capire che dovevano rallentare il passo per non destare sospetti. – Credo sia ora di fare una pausa. –

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