Landini e Renzi by Luca Peruzzi
C'è un tema, sul quale su questo blog ho provato talvolta a cimentarmi come ad esempio qui e qui, che dovrebbe stare in cima ai pensieri di chi vuole ricostruire in Italia un progetto non marginale di Alternativa di Sinistra (o comunque la si voglia chiamare) cioè un progetto fondato su di una visione di società egualitaria e che consenta a tutti gli individui di vivere liberi dal bisogno. E' il tema della cultura dominante, del senso comune prevalente, del pensiero unico liberista che viene bombardato ad ogni ora del giorno e della notte da tutti i media di regime e sul quale la maggior parte delle persone costruisce la propria interpretazione del mondo, giudica gli accadimenti, esprime la propria preferenza politica ed il proprio voto. Possiamo pensare tutto il male possibile (per alcuni di questi a ragione, per altri no) dei Bertinotti, dei Vendola, dei Ferrero, degli Ingroia e via discorrendo ma nessuno può pensare che gli scarsi risultati elettorali della Sinistra dipendano solo dai loro errori e dal fatto che siano peggiori di chi ha governato negli ultimi anni e governa oggi l'Italia - i Berlusconi, i Monti, i Renzi - o di chi comunque riesce a mantenere un ruolo e un consenso rilevanti (Salvini e la Lega tanto per citare dei nomi). La verità è che ormai tutti o quasi tutti sono convinti che esiste solo il mercato, che la ricchezza e il lavoro possono essere creati solo dalle imprese private, che lo Stato e il Pubblico sono l'inefficienza e lo spreco mentre il privato è in grado di fornire alla collettività beni e servizi migliori e a prezzi più convenienti, che la competizione tra gli individui è il destino dell'umanità, che gli immigrati ci rubano il lavoro e vengono per delinquere, che il debito pubblico è il male assoluto e dipende dal fatto che abbiamo vissuto per decenni al di sopra delle nostre possibilità. In questo contesto culturale non c'è spazio per ciò che intendiamo autenticamente come Sinistra. Lo stesso schieramento legalitario e anti-casta (Travaglio, Grillo) - pur focalizzando l'attenzione su aspetti fondamentali e ineludibili quali corruzione, malaffare, mafie - è parte del senso comune e della cultura dominante: c'è un mercato da rendere più efficiente e trasparente non un mercato inadeguato in sé a regolare la vita sociale.
E l'ambito politico si lega strettamente legato all'ambito sindacale. Il progressivo disvelamento della natura e dei contenuti del progetto di coalizione sociale della Fiom e di Maurizio Landini mi ha fatto tornare alla mente un post che avevo scritto su questo blog quasi sei anni fa, sul ruolo del Sindacato e sulla crisi profonda in cui era precipitato riguardo alla capacità di rappresentare con forza ed efficacia gli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari. Il dato che sottolineavo - evidente già allora e tanto più oggi che siamo al culmine della più grave crisi economica del dopoguerra - è che in tempi di disoccupazione di massa, di precarizzazione del lavoro, di delocalizzazioni, di globalizzazione, di frammentazione delle condizioni dei lavoratori, dentro la stessa azienda e pur partecipando al medesimo processo produttivo, in innumerevoli tipologie contrattuali ed in ingiustificatamente diversi livelli di reddito, la forza del sindacato nei confronti del padronato e dentro le aziende svanisce inesorabilmente. Ancora di più lo sarà con l'attuazione del jobs act. E dunque per il Sindacato non resta che la strada della politica per la difesa dei diritti e delle condizioni di vita dei lavoratori.
E' in base a tali premesse che ritengo di grande e decisiva importanza il progetto di coalizione sociale di Maurizio Landini. E' sbagliato ridurre tutta la questione al leader, alla popolarità del segretario della Fiom, al suo carisma, alle sue capacità comunicative che pure sono elementi importanti. Qui c'è l'impegno di quello che è storicamente il più importante sindacato italiano, la Fiom, con il suo prestigio, la sua organizzazione, i suoi numeri, la sua capacità di mobilitazione e di attrazione nei confronti dei singoli cittadini e di altri soggetti sociali, per porre le basi per ribaltare i rapporti politici e sociali oggi in essere in Italia. Ripromettendosi di operare contemporaneamente sul piano delle lotte sociali, sul piano culturale e della comunicazione, sul piano della ricostituzione di un contatto e di un legame diretto con le persone attraverso la costituzione di una rete di solidarietà sociale. Altre possibilità di quella dell'azione sociale diffusa per contrapporsi a chi ha in mano tutte le leve del potere politico, mediatico, economico non ce ne sono. E' qualcosa che viene teorizzato e di cui si parla da anni ma di fatto siamo ancora all'anno zero. Che se ne faccia promotrice la Fiom (non un movimento da costruire ma un movimento che esiste già!) e non qualche soggetto meramente virtuale o con poche centinaia di aderenti, con la prospettiva di coinvolgere, oltre ai soggetti collettivi già attivati, tutto il corpaccione intorpidito della CGIL e le basi degli altri sindacati è un barlume di luce in questi tempi bui, pur trattandosi evidentemente di un progetto che presenta difficoltà straordinarie. Le irriguardose e insolenti reazioni della maggioranza renziano-berlusconiana e quelle stizzite della Camusso e della minoranza Dem sono di per sé il sintomo positivo che si sta cogliendo nel segno. Riguardo alle critiche che vengono da Sinistra, è assolutamente legittimo porsi domande e formulare riserve ma pretendere già oggi di spaccare il capello in quattro sui contenuti e sulle forme della coalizione sociale è assolutamente fuori luogo: oggi l'emergenza è di ricostituire una coscienza di classe ed una egemonia culturale. Nessun altro c'è riuscito e certamente la Fiom e Landini hanno più frecce al proprio arco di chiunque altro si agita oggi a Sinistra. Di euro ed Europa, di forme organizzative, di leader, di alleanze politiche ci sarà tempo per discutere e saranno i dati di fatto e le condizioni concrete a imporre le scelte necessarie e maggiormente rispondenti al bene comune.
L'iniziativa di Landini si muove peraltro in parallelo ed è assolutamente compatibile con i processi di riaggregazione e rinnovamento a Sinistra ma sarebbe ingenuo non rilevare che essa nasce perché siamo di fronte al deserto della Sinistra politica, alla debolezza e farraginosità dei tentativi che si stanno facendo per rianimarla, all'amara verità che non esiste una rappresentanza politica - forte e organizzata - dei lavoratori e dei ceti popolari e che nessuno sembra in grado di ricostituirla. L'ambito partitico-elettorale-istituzionale è la conseguenza e non la premessa della visione, della percezione dei bisogni, dei valori, degli ideali delle masse. La mobilità dell'elettorato - come dimostrano Syriza, Podemos, l'impetuoso exploit del Movimento 5 Stelle e la stessa, ahimè, attualmente incontrastata ascesa di Renzi - è tale da lasciare aperta ogni possibilità se si riuscirà a ridare centralità nel sentire collettivo all'idea che il bene comune non lo possono realizzare il capitalismo e il liberismo ma solo il controllo sociale e collettivo sull'economia.
Riflessioni sul Sindacato
2 giugno 2009
La crisi del sindacato e in particolare della CGIL è l'altra faccia della crisi della sinistra. La subalternità culturale che ormai hanno assunto i temi del lavoro, del progresso e della giustizia sociale rispetto ai modelli imposti dal pensiero dominante (televisivo). Lo statuto dei lavoratori del 1970 è stato forse il punto più alto raggiunto nell'affermazione dei diritti dei lavoratori. Da allora in poi il Sindacato ha giocato solo in difesa, lasciando per strada, mano a mano, molte delle conquiste ottenute. Penso ad alcuni fenomeni, fatti, eventi concreti e simbolici che hanno scandito e determinato la progressiva marginalizzazione della visibilità del mondo del lavoro: il terrorismo e il riflusso nel privato con il conseguente abbandono dell'impegno sociale, la marcia dei quarantamila alla Fiat, l'accordo sulla scala mobile firmato nel 1984 da Craxi con UIL e CISL e la successiva sconfitta nel referendum, la delocalizzazione e la globalizzazione che hanno reso disponibile su base mondiale quell' 'esercito di riserva' preconizzato da Marx, la precarizzazione del lavoro (scelta condivisa dal maggiore partito della Sinistra) , le continue concessioni in materia pensionistica a cui non ha fatto riscontro alcuna contropartita sociale, la progressiva e inesorabile perdita del valore d'acquisto di salari e stipendi. Di contro le gerarchie sindacali non hanno perso alcuno dei propri privilegi trasformando di fatto i sindacati in società di servizio che vendono alle imprese (e al governo di volta in volta al potere) l'acquiescenza dei lavoratori in cambio di vantaggi e favori.
Qual è l'errore fatale del sindacato? Credere, o far finta di credere, che i propri interlocutori principali siano ancora le aziende e gli imprenditori. Agisce ancora in una logica da anni cinquanta e sessanta, padrone e operai. Ma la realtà è cambiata e la trattativa con le aziende è spesso una lotta contro i mulini a vento. La globalizzazione rende disponibile lavoratori a basso costo in Italia e all'estero pronti a lavorare senza coperture sociali e assicurative, le tecnologie attuali consentono con facilità il trasferimento di interi cicli produttivi o di parte di essi in qualunque altra parte del mondo (o quantomeno a qualche centinaia di chilometri nei paesi dell'ex blocco sovietico) e le aziende italiane spesso non sono altro che assemblatori di semilavorati provenienti da paesi terzi. Quale potere contrattuale si può avere nei confronti di multinazionali che da un giorno all'altro, quando le condizioni politiche, economiche e sindacali non siano più convenienti, sono in grado di chiudere la propria filiale e trasferire la produzione in un altro Paese? Quale potere contrattuale si può avere nei confronti di micro-aziende che nascono e muoiono con velocità impressionante in nome della flessibilità produttiva? Quale potere contrattuale si può avere quando in una stessa azienda convivono lavoratori che sono regolati da contratti e condizioni di lavoro diversi o addirittura con le esternalizzazioni e gli appalti la produzione è affidata a personale non dipendente dell'azienda? Quale potere contrattuale si può avere quando si vive sotto il ricatto della perdita del lavoro ed allora in nome della conservazione dell'occupazione si è costretti ad accettare tutto: la moderazione salariale, condizioni di lavoro non dignitose, l'assenza omicida delle regole di sicurezza?
C'è poi il tema, assolutamente non secondario, dell'economia criminale e della corruzione pubblica che incide in modo tragicamente straordinario nelle condizioni di vita del cittadino lavoratore con la negazione di opportunità e diritti, impedendo il riconoscimento del merito, condannando intere regioni d'Italia al sottosviluppo.
Il sindacato mantiene ancora potere in quelle realtà economiche e produttive protette che non agiscono in regime di libera concorrenza a livello internazionale. Non per la propria forza ma per l'assenza di interesse da parte degli oligarchi che guidano tali aziende a spingere sull'acceleratore delle riduzioni dei costi, per la loro riluttanza ad alzare pericolosi polveroni. Ed è comunque una forza ed un potere del sindacato che anche qui non va più a vantaggio dei lavoratori ma essenzialmente al mantenimento e riproduzione delle proprie organizzazioni.
Cosa dovrebbe fare il sindacato per ridare forza ai lavoratori? Rivolgersi all'unico interlocutore che oggi può agire per determinare le condizioni di vita dei lavoratori: la Politica. Agire almeno da lobby, così come la Confindustria o la ConfCommercio o le associazioni dei tassisti, con la consapevolezza di essere la più potente sul piano elettorale. E' la Politica che può dare risposte su quelli che sono i bisogni e le richieste fondamentali del mondo del lavoro: la redistribuzione del reddito attraverso un'equa politica fiscale, l'aumento effettivo del potere di acquisto di salari e stipendi grazie a politiche antitrust e di intervento pubblico sui prezzi dei beni 'vitali' come la casa, quelli di prima necessità, le utenze telefoniche, di energia elettrica e gas, il miglioramento delle condizioni di vita attraverso servizi pubblici efficienti e di alta qualità (la scuola, la sanità, i trasporti) di cui i lavoratori sono i primi fruitori, la formazione permanente, la sicurezza sul lavoro, il contrasto radicale alla criminalità organizzata e alla corruzione. E' la Politica che può e deve dare risposte in termini di sicurezza sociale, è la Politica che può e deve trattare con le aziende anche multinazionali usando le leve fiscali e dei contributi pubblici alle imprese.
Certo non mancano ora i rapporti tra politica e sindacato, ma sono rapporti non improntati alla trasparenza, non espliciti e diretti. Ad una pretesa e ipocrita autonomia del sindacato fanno riscontro trattative sottobanco, posizioni e atteggiamenti pubblici solo in funzione dei rapporti tra caste politiche e caste sindacali. Basti pensare alla CGIL che con il centrosinistra al governo abbandona regolarmente la propria attitudine alla lotta per i diritti dei lavoratori.
La 'passività' del sindacato quale soggetto politico o almeno l'inefficacia della sua azione (in primis il tema dell'evasione fiscale) è tanto più grave tenendo conto delle enormi potenzialità di cui dispone. Milioni di iscritti, il contatto diretto con uomini e donne in carne ed ossa attraverso i propri rappresentanti aziendali, la capillarità della propria presenza sul territorio con i patronati e i centri di assistenza fiscale, la capacità di mobilitazione che ancora riesce ad esprimere (ne sono esempi emblematici le manifestazioni del primo maggio). Il sindacato potrebbe disporre anche di rilevanti risorse economiche, risorse destinate ad aumentare con il coinvolgimento nella gestione dei fondi pensione. Com'è possibile che il sindacato fino ad ora non abbia, ad esempio, ritenuto necessario entrare nel mondo dell'informazione, settore vitale per contrastare la subalternità culturale del mondo del lavoro? Basterebbe la partecipazione a iniziative come Pandora Tv o almeno l'invito ai propri iscritti a contribuire alla nascita di una tv libera …
Il Sindacato esca dunque dall'ipocrisia, prenda esempio dai legami tra sindacati e grandi socialdemocrazie europee, si faccia promotore esso stesso di una grande alternativa di governo nel quale possa essere determinante nella definizione dei temi dell'azione politica, non si limiti ad essere solo un trampolino di lancio attraverso cui i suoi dirigenti vengono cooptati alle cariche politiche e di governo.
E se oggi c'è chi propone di dare vita ad una nuova organizzazione di rappresentanza dei lavoratori che tenti di infrangere il monopolio di CGIL, CISL e UIL, perché non pensare allora ad un'iniziativa più efficace: un coordinamento, trasversale ai sindacati esistenti, di iscritti e quadri che vogliano lottare per scuotere e svegliare dal torpore il mondo del lavoro, rimetterlo al centro della discussione politica e porre di nuovo i sindacati al servizio dei lavoratori e dunque dell'intero paese?