Quasi un migliaio di allevamenti di polli, tacchini e maiali è sotto sorveglianza speciale, 8.000 galline ovaiole sono già state abbattute, sono i numeri dell’ultima crisi di sicurezza alimentare dovuta a contaminazione da diossina che sconvolge la Germania e che ha fatto scattare il sistema europeo di allerta rapida (Rasff). All’origine della contaminazione ci sono 25-27 tonnellate di oli provenienti da una fabbrica di bio-diesel e utilizzati nella produzione di mangimi. “Il produttore di alimenti per animali Harles & Jentzsch ha fornito mangimi utilizzando un olio che non dovrebbe mai venire impiegato nella filiera agroalimentare” riporta lo Spiegel. Il mangimista ha cercato di scaricare la responsabilità sul suo fornitore, Petrotec, il quale avrebbe peraltro replicato che “in tutti i contratti di fornitura, nelle bolle di consegna e nelle fatture è specificato che i grassi sono unicamente destinati a usi tecnici e mai all’uso alimentare”. Gli oli in questione, secondo le analisi, hanno un tenore medio di diossina pari a 123 nano-grammi per chilo (www.ilfattoalimentare.it).
Poiché il contaminante è stato immesso nella filiera alimentare, le uova delle galline nutrite col mangime incriminato presentano 16 nano-grammi di diossina per chilo, quattro volte il limite ammesso in Unione europea. Le diossine, come classe di composti, sono sostanze cancerogene, persistenti, non biodegradabili, facilmente accumulabili nella catena alimentare. Reazioni di ossidazione come quelle che avvengono negli inceneritori, nelle acciaierie di seconda fusione ed in altri processi di combustione civile ed industriale, sono i principali produttori di diossine. Le diossine sono quindi sottoprodotti della lavorazione di determinate sostanze chimiche (industria delle plastiche per esempio), dell’incenerimento o della combustione. Rimangono nell’ambiente per molti anni e riescono ad arrivare fino agli alimenti: il pesce viene contaminato attraverso l’acqua mentre l’aria è il principale veicolo di inquinamento per gli altri animali. Le diossine si depositano nelle piante come il foraggio, che viene poi mangiato dagli animali. La diossina si concentra nei tessuti adiposi (quindi nel grasso) del bestiame e del pesce, passando naturalmente nel latte e nelle uova. Oltre il 90% dell’esposizione umana avviene attraverso gli alimenti; quelli di origine animale, in particolare, rappresentano circa l’80% dell’esposizione totale. Oltre alle contaminazioni ambientali, le diossine nei mangimi derivano in grossa parte da sostanze varie e sottoprodotti dell’industria alimentare che chiudono il loro ciclo nei trituratori dei mangimifici. Un pò quello che è successo con il virus della “mucca pazza”, presumibilmente dovuto alla pratica di miscelare nei mangimi anche sottoprodotti della macellazione delle carni, una sorta di cannibalismo occulto. I contaminanti di tipo chimico sono quelli più difficili da scovare negli alimenti. Mentre un inquinamento di tipo batterico o microbiologico in genere è identificabile molto spesso per via di alterazioni visibili del prodotto (come le muffe, o l’inacidimento o le modificazioni cromatiche da parte di lieviti e batteri), diversamente, diossine, metalli pesanti, pesticidi, anabolizzanti e altre sostanze chimiche, sono più subdole, invisibili, anzi non comportano problemi immediati o irritazioni (se non ingeriti in grandi quantità) ma possono innescare reazioni di lenta degenerazione, i tumori. L’unico modo per scoprire tali contaminanti è eseguire controlli chimici sugli alimenti, attività per le quali sono preposte le Autorità Sanitarie e quelle di vigilanza anti-frode (i nostri NAS). E proprio qui sta il problema: quanti controlli vengono effettuati sulle derrate alimentari? Secondo un portavoce del ministero dell’Agricoltura sin dal mese di marzo si sapeva che la società tedesca produceva mangimi con un’eccessiva quantità di diossina. C’è da chiedersi allora come mai il problema è stato sollevato dalle autorità tedesche solo alla fine di novembre per poi essere rilanciato alla fine dell’anno nel sistema di allerta europeo (Rasff).
Questa situazione lascia aperti interrogativi allarmanti sull’efficacia e sul coordinamento dei controlli in Germania (e figurati in Italia!) e sulla tutela dei consumatori. Se le fonti riportate dall’Agenzia Agi sono corrette, vuol dire che dolci, prodotti da forno, maionese, petti di pollo e bistecche di maiale e altri prodotti contaminati sono stati mangiati per 9 mesi da migliaia di consumatori tedeschi e anche da un pò di cittadini Inglesi e abitanti dei Paesi Bassi.
Paradossale che tutto ciò sia avvenuto quando dal primo settembre è entrato in applicazione il regolamento Ce n. 767/2009 sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi. Si tratta delle nuove regole di commercializzazione e di etichettatura varate dall’Unione europea dopo un lungo iter di valutazione iniziato già nel 2004 a seguito della tanto contestata direttiva che imponeva l’utilizzo della cosiddetta “formula aperta”. Ma di questo approfondiremo nel prossimo post.