Il contratto Co.Co.Co., altrimenti detto “contratto parasubordinato”, costituirebbe una categoria intermedia tra il lavoro autonomo e quello dipendente. In realtà, nella maggior parte dei casi, è un lavoro dipendente a tutti gli effetti ma con lo sfruttamento spudorato del lavoratore da parte del datore di lavoro. La non “dipendenza” starebbe in un gioco di parole presente nella definizione truffaldina del Co.Co.Co.: “contratto mediante cui il collaboratore si impegna a compiere un’opera o un servizio in via continuativa a favore del committente e in coordinamento con quest’ultimo senza che sussista il vincolo di subordinazione”. La mancanza di un “vincolo di subordinazione” indicherebbe l’autonomia operativa del collaboratore, cui spetterebbe la scelta libera di modalità e tempi di esecuzione della commessa. Il lavoratore stesso non dovrebbe impiegare mezzi propri nell’esecuzione della propria mansione, ma esclusivamente quelli messi a disposizione dal committente. La permanenza nel tempo del rapporto tra datore di lavoro e collaboratore, inoltre, dovrebbe conferire al rapporto lavorativo quella “continuità” contenuta nella sigla Co.Co.Co., visto che una mera saltuarietà originerebbe una “prestazione occasionale” (regolata da ben altra legislazione e impostata su ben altri diritti e doveri!).
Infine, nel contratto Co.Co.Co. la retribuzione dovrebbe essere corrisposta in maniera prestabilita, puntuale e periodica. Ho volutamente usato una sfilza di condizionali perché quanto elencato finora, nella gran parte dei casi, rimane solo nella sfera teorica. In pratica, molto spesso, lavori tacciati come “a progetto”, sono semplicemente lavori dipendenti spacciati per tali, con grandi vantaggi per i datori di lavoro e a tutto discapito per i lavoratori: niente tfr (trattamento di fine rapporto), niente ferie, niente permessi per malattia, infortunio, gravidanza, matrimonio o motivi di famiglia.
Niente tredicesima mensilità; cosa coerente, almeno questa, visto che non ci sono neppure le altre dodici. Unica autonomia operativa, insomma, la possibilità di non andare a lavorare, chiaramente senza retribuzione, in barba a qualsiasi diritto del lavoratore. Per farla breve, il Co.Co.Co. quasi sempre è un lavoro in nero, legalizzato dallo Stato. In nero per il datore di lavoro, chiaramente, non certo per il collaboratore, che si vede detrarre tasse per svariate decine di euro su buste paga che ammontano a poche decine di euro in più. Trattandosi poi di una tipologia di contratto con trattativa privata fra datore di lavoro e lavoratore, i sindacati non possono intervenire in merito, non essendoci un contratto nazionale a cui fare riferimento. I collaboratori a progetto in Italia rasentano ormai il milione – come censito dall’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori (Isfol) – e i loro stipendi sono da fame. Chiaramente il fenomeno colpisce mortalmente i giovani, visto che all’incirca un terzo dei lavoratori a progetto ha meno di 30 anni e un altro terzo circa ha tra i 30 e i 40 anni. Le categorie più sfruttate? Operatori call center inbound e outbound, docenti in scuole private, addetti alle pulizie, baby sitter, badanti, baristi, camerieri, commessi, muratori, segretari e segretarie e molti altri ancora. E se ti lamenti, se ti ribelli, o se solo chiedi chiarimenti? Ti senti rispondere che sulle scrivanie dei capi ci sono montagne di curricula di altri disgraziati come te, in cerca di un contentino momentaneo, inconsapevoli del fatto che “le zanzare che pungono me / sono le stesse che poi / pungeranno te”.
E così, tra primi mesi di formazione non pagati, successivi tagli a stipendi già miseri, clausole e clausolette che si sarebbero dovute leggere al microscopio, o si ingoiano bocconi amari e ci si accontenta dell’elemosina o si va a vivere sotto a un ponte. Fiore all’occhiello della Legge Biagi, promulgata postuma dal governo Berlusca nel 2003, il Co.Co.Co. spiega l’uccisione del giuslavorista Marco Biagi, assassinato dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo 2002. L’omicidio è sempre un crimine orrendo, da condannare con forza e senza riserve. Ma quando qualcuno condannerà con forza e senza riserve la quotidiana condanna a morte di tanti di noi? Mentre “volpi di qua, / lestofanti di là” continuano ad ingozzarsi del mio, del nostro sangue. Storie di ordinaria italianità!