Una nave alla deriva nel mare in tempesta, nessun segnale dalla plancia. Che fine ha fatto Cold Fear?
Che fine hanno fatto... è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.
Il mistero della nave
Ambientato su una baleniera russa flagellata da una violenta tempesta, Cold Fear metteva l'utente nei panni di Tom Hansen, un agente della guardia costiera incaricato di compiere un sopralluogo a bordo della misteriosa imbarcazione, che oscura e silenziosa, non dava segni di vita. Dalla radio, infatti, non arrivavano più voci capaci di rispondere ai richiami delle autorità marittime. Almeno voci umane. Perfino un team di SEAL inviati in precedenza a bordo era sparito nel nulla. Il gelo, il mare in tempesta, una nave alla deriva e la paura dietro a ogni angolo. Su questi capisaldi l'idea iniziale di Cold Fear sembrava certamente molto interessante, e già dalle prime battute l'utente veniva catapultato in uno scenario decisamente drammatico e spettacolare. Il moto ondoso delle acque, infatti, agiva realisticamente sullo scafo della baleniera, generando oscillazioni di varia entità i cui effetti erano ben visibili a bordo, con gli oggetti che si muovevano qua e là, e lo stesso protagonista che faticava a mantenere l'equilibrio su un ponte reso ulteriormente instabile e scivoloso da una pioggia battente. Nelle fasi iniziali di sviluppo del progetto pare che i movimenti degli oggetti fossero scriptati, ma successivamente vennero sostituiti con la fisica reale. L'animatore del videogioco, Antonin Delboy, raccontò che durante la lavorazione gran parte delle sue attenzioni e di quella del team erano concentrate affinché le animazioni fossero credibili ed efficaci, sia in termini di qualità che quantità. "Volevamo che fossero quanto più verosimili possibile", disse in un'intervista al'E3 del 2004, dove il prodotto venne annunciato, spiegando come di base i movimenti fossero stati realizzati con il software 3D Studio Max, mentre le nove animazioni direzionali dei personaggi, specie quelle di Tom, erano state ideate tramite la cosiddetta cinematica inversa, con il motore che calcolava il livello di compensazione del protagonista a seconda dell'angolo assunto dalla nave, il cui rollare sull'asse verticale e orizzontale veniva gestito separatamente da un sistema creato internamente chiamato Darkwave. La cinematica diretta richiedeva infatti la pianificazione di ogni movimento per ciascuna delle parti che componevano un oggetto, mentre con quella inversa gli animatori poterono calcolare quello di tutti i rami di una struttura articolata, in base alla posizione iniziale e finale di un'estremità del soggetto. Giusto per fare un esempio, per animare un personaggio che in equilibrio precario cercava di aggrapparsi all'estremità di un tavolo, con la tecnica descritta non c'era bisogno di lavorare ogni singola articolazione. Bastava impostarne opportunamente gli archi di movimento delle giunture in modo da permettere agli sviluppatori di muoverne mani, piedi e tronco, lasciando al computer il compito di calcolare e generare automaticamente la posizione di braccia e gambe del soggetto.
Atmosfera giusta, gameplay un po’ meno
La creazione di un sistema di movimento così realistico portò anche dei problemi di telecamera. Secondo il capo programmatore di Cold Fear, Claude Levastr, nelle prime fasi di sviluppo questa andava costantemente fuori inquadratura, attraversando addirittura le pareti e creando dei crash al videogioco. Quindi gli sviluppatori furono costretti a creare un sistema di inerzia che ne controllasse la stabilità, come se un cameraman si trovasse dietro Tom Hansen tenendo in mano una steadycam. Purtroppo, però, un idea così interessante non venne adeguatamente supportata a livello di giocabilità. O perlomeno non lo fu fino in fondo. L'instabilità dell'imbarcazione era tecnicamente l'elemento più interessante del progetto, invece si rivelò anche il punto più controverso del gioco, perché sarebbe dovuto essere il fulcro di tutto il gameplay, mentre il risultato fu molto lontano dalle aspettative dei mesi precedenti alla sua uscita.
Ai fini pratici il gameplay era influenzato in modo molto marginale dal moto delle acque marine, se non un po' negli esterni, e la struttura degli scontri non si discostava più di tanto dai binari più noti del genere. Quanto descritto appariva evidente nelle situazioni che si svolgevano sotto coperta oppure nel momento in cui si giungeva sopra a una piattaforma petrolifera. Lì la tempesta era solo un ricordo e l'impostazione di gioco riportava subito alla mente la saga di Resident Evil, il già citato quarto capitolo per le sparatorie, un po' i primi episodi per l'atmosfera durante l'esplorazione. Quest'ultima era corroborata da un buon campionamento sonoro per gli effetti di sottofondo, e da un aspetto grafico che giocava sull'efficace contrasto di luci ed ombre, con una paletta di colori scuri e metallici splendidamente dosata e in tono con lo scenario freddo di una baleniera dimenticata. Di diverso c'era semmai l'interessante possibilità di scegliere tra due visuali, una in terza persona e una da sopra alle spalle. La migliore era considerata da molti quella posta dietro alle spalle del protagonista, che rendeva l'azione di mira molto più precisa e veloce, in particolare per la presenza del puntatore laser. Un altro elemento mal sfruttato di Cold Fear fu la trama e il modo in cui questa veniva raccontata. In tal senso mancava in particolare un background all'intera vicenda, con Tom che sembrava continuamente agire senza un motivo preciso, e con una serie di personaggi secondari privi di spessore, che non aiutavano a rendere più credibile la vicenda o ad approfondire meglio taluni aspetti della narrazione. Questa mancanza di coinvolgimento alle vicende portava di conseguenza il videogiocatore a proseguire quasi per inerzia piuttosto che per scoprire dei risvolti legati alla trama. Alla fine Cold Fear ottenne giudizi contrastanti da parte della critica internazionale, fra chi lo bocciava senza pietà e chi, come IGN, attribuì alla versione PlayStation 2 un buon 7.2 e a quella Xbox un 7.6, con la motivazione che pur non rinnovando i canoni del genere, il titolo manteneva una certa atmosfera cupa per tutta la durata dell'avventura, risultando per certi aspetti piacevole. Di contro la critica si concentrò principalmente sulla mancanza di una mappa, sull'esposizione della trama e su una certa ripetitività nell'azione sparatutto, dove l'ottima idea di una nave in perenne oscillazione era stata poco e male sfruttata all'interno del gameplay. Insomma, tutti più o meno concordi nel sostenere che la produzione aveva buone potenzialità, ma che queste erano state appena abbozzate o male utilizzate. Chissà quindi che un giorno qualcuno non si ricordi di questa produzione, non decida di sfruttarne a dovere il concept, rielaborandone adeguatamente le meccaniche e la struttura narrativa, e non ci riproponga un nuovo episodio in salsa moderna e consono alle sue possibilità.