Non ricordo se sono arrivato tardi io o se il boom italiano di Lansdale sia scoppiato proprio in quel periodo, ho bene in mente però che non si faceva in tempo a finire un suo romanzo e se ne potevano trovare almeno tre di nuovi sugli scaffali, e insomma, per un bel pezzo, tra il ciclo di Hap & Leonard, i noir durissimi, gli horror fulminanti e le raccolte, ho letto solo la sua sbruffoneria e il suo senso epico, quello stile scanzonato ma molto intimo e profondo una volta scrostata la volgarità, e quando le sue cose migliori sono finite mi sono buttato giocoforza su quelle che magari, a leggere la sinossi, colpivano meno ma mostravano in fondo il vero tocco e la genuinità dello scrittore texano, quella potenza diretta e micidiale con cui inquadrare i buoni e metterli contri dei cattivi così bastardi da potersi meritare soltanto una pistolettata in mezzo agli occhi.
Lato sinistro per voi
Mi piace pensare che, quando hanno deciso di trarre un film da Freddo a luglio, Jim Mickle e Nick Damici (che ci hanno preso gusto e sono al lavoro su una serie tv tratta da Hap & Leonard) abbiano proprio cercato questo taglio preciso e inevitabile, questa filosofia secca e anche terribile, una giustizia divina necessaria per chi abbraccia il lato oscuro. La coppia regista-sceneggiatore lavora insieme ormai da anni e nel genere si è fatta conoscere per lavori tutto sommato onesti, sono sempre stati nella media e magari, soprattutto con Stake Land, hanno anche provato a fare i furbetti seguendo la moda, ma del discreto mestiere lo sanno fare e questo probabilmente è solo ciò che vogliono/possono offrire. A me sta bene, preferisco questo modus operandi ad ambizioni impossibili e a sfoggi masturbatori, li ho sempre seguiti con piacere e credo che Cold in July non sia una sorta di sviluppo o di crescita nella loro filmografia, bensì una fidata conferma di cinema di genere grezzo e migliorabile ma sicuramente confortevole.L’estetica lansdaleiana è molto più intelligente e complessa di quello che può trasparire dal suo stile maleducato, la figura femminile e l’onestà assumono caratteri che raramente si trovano in narrativa, ed è un po’ inevitabile che Mickle e Damici ne colgano soltanto un aspetto più superficiale e in qualche maniera letterale: la vendetta di cui si fanno carico i loro tre protagonisti non è così forte e legittima come la motiverebbe Lansdale, i buoni sono buoni perché questo è il ruolo assegnato loro mentre i cattivi sono tali perché serve qualcuno da ammazzare nella sparatoria gore che deflagra nel segmento finale. Viene quindi a mancare qualcosa di importante nella caratterizzazione e nella struttura del film, non è cosa da poco ma ciò non toglie che l’esperienza sciolta e rapidissima che si inspira nel leggere anche il Lansdale più scapigliato sia in fondo ricreata col giusto spirito.
The Mullet Man
Ma il merito va più che altro a un perfetto Michael C. Hall che, dopo otto stagioni di Dexter e un immaginario difficile da scardinare, si arma di mullet e baffoni, si carica l’intero film sulle spalle e giustifica ogni azione con una prova eccellente nell’ansia, nell’indecisione e nell’onestà di Richard, un uomo qualunque, cresciuto nell’ignoranza rurale del sud statunitense e accentuato dall’ambientazione in pieni eighties, che uccide un ladro entrato in casa sua per poi scoprire che, dietro, c’è del consueto contorsionismo alla Lansdale fatto di poliziotti corrotti, disonestà mascherata da buone parole, criminali guidati da irremovibili codici d’onore, eroi tamarri ma dal carisma irresistibile e, ovviamente, un branco di violenti figlidiputtana protonazisiti autori di snuff con protagoniste ignare ragazzine. Quello che Mickle e Damici non riescono a dare a un gruppo di bad guys che appaiono, nelle loro crudeltà in VHS, troppo schematici a causa di una sceneggiatura troppo lineare e scontata, è reso invece pulsante proprio dalla comprensibile ma determinata debolezza di un Michael C. Hall in gran forma, tanto che né il fascino eccentrico del Jim Bob Luke di un Don Johnson che pare nato per una parte come questa, né l’onestà forse non lucidissima di un bravo Sam Shepard, riescono a imprimere quella marcia ironica nel contrasto caratteriale che viene a crearsi. Ci sono buone intenzioni e momenti di ottima tensione, l’esperienza cinematografica si sente e confeziona sequenze con taglio elegante e ritmo rapidissimo, magari inciampa in qualche ralenti che osanna in misura eccessiva la giustizia ricercata dai tre companeros, ma tra piani fissi, un notevole dinamismo e dialoghi, questo sì, essenziali e perfetti, descrive con mestiere le scene clou: i diverbi tra marito e moglie dopo la morte del ladro (fantastico lo scambio sul divano), la visione della VHS e ciò che ne consegue, il momentaneo allontanamento e il subitaneo ritorno di Richard, l’ingresso nella videoteca e naturalmente la sparatoria finale trasudano quella bella prosa lansdaleiana che è lecito attendersi nonostante si tratti di uno dei suoi lavori minori.